Bernabè sbarca nell’idroelettrico

Petrolio a 50 dollari, protocollo di Kyoto che incombe. Produrre energia di questi tempi è diventata un'impresa difficile. Ma a Edolo, sulle pendici dell'Adamello, si fa con una materia prima che non costa quasi nulla: l'acqua. La centrale di Edolo, mille megawatt di potenza, è un simbolo per l'idroelettrico nostrano: ha riacceso l'Italia piombata nel buio la fatidica notte del blackout, lo scorso autunno, dando una spinta ai grandi impianti termoelettrici che si erano scollegati dalla rete. A differenza di una centrale a gas o a olio combustibile, Edolo non ha bisogno della scintilla portata dall'esterno per avviare la produzione, basta la spinta dell'acqua. Sull'idroelettrico, una volta tanto, l'Italia è leader in Europa: il 19% della domanda nazionale di energia viene coperta con la potenza dei fiumi. E la forza dell'acqua attrae sempre di più: sono un centinaio i piccoli impianti idroelettrici in costruzione, soprattutto in Piemonte, Lombardia, Veneto e Friuli, ma c'è qualcosa anche sugli Appennini e in Sardegna. "E' un settore con grandi potenzialità di crescita”, spiega Chicco Testa, che ha guidato l'Enel con Franco Tatò fino al 2002 e oggi opera in Rothschild Italia insieme a Franco Bernabè. Non a caso Bernabè e Testa sono entrati in una società bresciana di produzione idroelettrica, la Eva Energie Valsabbia, dove l'FB Group sta rilevando una quota del 30%. “Con la liberalizzazione del mercato e l'avvento delle limitazioni imposte dal protocollo di Kyoto si sono aperti spazi importanti per i nuovi produttori, soprattutto nelle energie rinnovabili – commenta Testa, presidente di Eva – in cui noi eravamo già presenti nel campo delle biomasse. Nell'idroelettrico contiamo d'investire circa 80 milioni di euro per arrivare a produrre 300 milioni di chilowattora l'anno, sia costruendo impianti nuovi che acquistandone di già esistenti”. L'espansione si concentra soprattutto nell'arco prealpino, ma la società, nata dall'iniziativa di un gruppo di professionisti valsabbini, ha progetti in stadio avanzato anche in Campania e in Calabria. “Non dimentichiamo che la produzione di un milione di chilowattora da idroelettrico evita l'immissione nell'atmosfera di 600 tonnellate di anidride carbonica”, fa notare Sergio Adami, responsabile Enel per le energie alternative. “Al momento attuale – aggiunge Adami – l'anidride carbonica vale circa 10 dollari la tonnellata, ma con l'entrata in vigore del protocollo di Kyoto potrebbe arrivare a 70-80 dollari”. Per Enel, leader mondiale nel settore idroelettrico con 495 impianti per una capacità totale di 14.312 MW, si tratta quindi di un'ottima fonte di crediti verdi oltre che di energia a buon mercato. Se la produzione di un megawattora da olio combustibile costa 70 euro, da gas naturale 50 e da carbone 45, la stessa quantità di energia prodotta dall'acqua costa solo 20 euro. E' per queste due buone ragioni che Enel continua a espandere la sua capacità idroelettrica: gli ultimi investimenti sono due piccoli impianti ad acqua fluente sul fiume Tirso, in Sardegna, uno sul Biferno in Molise e altri ne arriveranno in Piemonte, in Veneto e nelle Marche. “Anche sui grandi impianti – aggiunge Adami – che spesso risalgono all'epoca fra le due guerre, si interviene per sostituire le turbine o nel caso tutto l'albero elettrico, talvolta anche sull'intero complesso di adduzione dell'acqua”. In questo modo cresce il rendimento e quindi la potenza aumenta sensibilmente anche senza costruire nuovi impianti. Di tirar su dighe nuove, però, non se ne parla nemmeno. Mentre l'Austria e la Svizzera – che ci vendono una bella fetta della loro energia – continuano a riempire bacini e pompare acqua nelle condotte forzate, da noi la corsa ad attingere la potenza dei fiumi si è impantanata nel fango del torrente Vajont, tra le case sommerse di Erto e Casso. In quel lontano '63 la produzione idroelettrica copriva il 65% della domanda nazionale. Ma dopo il Vajont l'entusiasmo per lo sfruttamento delle risorse nazionali si è spento di colpo. Al vertiginoso aumento dei consumi, decollati a partire dal boom economico degli anni Sessanta, si è fatto fronte soprattutto con il petrolio. E a quarant'anni dal disatro, anche oggi che l'idroelettrico è tornato di moda, le dighe restano tabù. “Non ci proviamo nemmeno – puntualizza Adami – perché anche se ottenessimo l'autorizzazione del ministero, ci troveremmo contro le comunità locali”. Eppure le potenzialità ci sarebbero tutte: basti pensare alla potenza del Po, sfruttata pochissimo rispetto a quella di altri grandi fiumi europei. Perfino sugli impianti di piccola taglia, ad acqua fluente, le resistenze sono spesso strenue. Le opere idrauliche legate alle centraline idroelettriche devono sottostare ai parametri sul minimo deflusso vitale, definiti dalle regioni in base alle indicazioni delle singole autorità di bacino e degli enti locali: ogni fiume ha il suo. “La catena delle decisioni è troppo lunga, ci vuole un niente a spezzarla, basta un comitato di quartiere che si mette di traverso e il meccanismo s'inceppa”. Adami ne sa qualcosa: ha otto cause pendenti su dispute di questo tipo.

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