Risparmio energetico, due pesi e due misure

In questo momento il mio pc consuma più di 150 watt, una volta e mezzo la potenza elettrica che potrei produrre pedalando con lena, pari a quella generata da un metro quadrato di fotocellule in pieno sole. Semplicemente per registrare quali tasti sto battendo. La stessa attività viene svolta da un palmare con un consumo di energia cento volte inferiore. Evidentemente la riduzione dei consumi energetici degli apparati elettronici va avanti a due velocità: quelli attaccati alla rete sprecano a piene mani, quelli che vanno a batteria risparmiano. Ci preoccupiamo di avere frigoriferi di classe A, pubblicizziamo ai quattro venti le lampade a basso consumo, ma abbiamo dimenticato d'imporre gli stessi standard a televisori, apparecchi hi-fi e computer. Basta un led per sprecare. La posizione di stand-by, con la spia luminosa accesa, comporta in genere un assorbimento di 2 watt all'ora, che moltiplicato per 20 (le ore della giornata durante le quali tv o hi-fi potrebbero essere spenti) e per 365 giorni l'anno totalizza un consumo di 14,6 kilowattora. Se i 14,6 kilowattora si moltiplicano per 21 milioni di famiglie, si ottiene un consumo di 306 milioni di kilowattora, per una spesa di 55 milioni di euro. E questo solo per un singolo apparecchio elettronico. Se si estende il calcolo a tutti i "punti luminosi" che restano sempre accesi nelle case degli italiani, la voragine si allarga. Per non parlare dei pc, domestici o aziendali, lasciati accesi anche di notte, che mettono in moto regolarmente il sistema di ventilazione 24 ore su 24. Considerando che l'energia consumata da 15 pc provoca emissioni di Co2 pari a quelle di un'automobile e che 30 miliardi di kilowattora vengono sprecati ogni anno solo dai pc che non vengono spenti a fine giornata, se ne deduce che una semplice dimenticanza fornisce un contributo non da poco all'effetto serra. Ma questo è solo un esempio di sprechi evitabili. Se anche l'umanità si dimostrasse improvvisamente più virtuosa e spegnesse tutte le lucine rosse che le capitano a tiro, resta il fatto che la pervasività dell'information technology incide sempre di più sui consumi elettrici del pianeta. Secondo uno studio recente di Lawrence Koomey, professore a Stanford e ricercatore del Lawrence Berkeley National Laboratory (Berkeley Lab), la quantità di elettricità consumata dai server mondiali è raddoppiata nel quinquennio 2001-2005 ed è destinata ad aumentare di un altro 75% entro il 2010. Globalmente, nel 2005 i server hanno consumato tanta energia da inghiottire l'intera capacità di generazione di una batteria di centrali elettriche da 141.000 megawatt. Considerando che un gruppo termoelettrico raramente supera i 400 megawatt di potenza e di solito una centrale ne contiene due, per mandare avanti i server di tutto il mondo ci sono volute almeno 180 centrali elettriche nel 2005. La bolletta elettrica dei server mondiali ha superato così i 7 miliardi di dollari. Lo studio di Koomey, sponsorizzato dal produttore di microprocessori Advanced Micro Devices, sta facendo il giro dei board mondiali, che ormai cominciano a rendersi conto di quanto cara gli costi la bolletta elettrica delle apparecchiature informatiche utilizzate in azienda. Molto di più del costo stesso degli apparecchi. "Generalmente – spiega Koomey – il budget dedicato all'information technology è separato dagli altri e chi lo gestisce non ha nessun incentivo a comprare macchine più efficienti, perché la bolletta elettrica non arriva a lui. Le aziende scoprono il problema solo se il responsabile dell'information technology e quello delle spese di gestione si mettono intorno allo stesso tavolo, un caso che succede raramente". Un collega di Koomey al Berkeley Lab, John Busch, ha calcolato che il consumo totale di energia causato da apparecchi elettronici negli Stati Uniti supera i 70 terawattora all'anno, equivalente al consumo residenziale complessivo di energia elettrica delle famiglie italiane (industrie escluse). Per produrre tutta questa energia si emettono 50 milioni di tonnellate di anidride carbonica all'anno. Secondo le sue stime, un terzo di questi consumi potrebbero essere tagliati usando in maniera capillare piccoli accorgimenti di power management già noti. Busch sta lavorando con le aziende produttrici di hardware a un progetto finanziato dal governo federale e dalla potente California Energy Commission, mirato ad aumentare i loro standard di efficienza, introducendo minime variazioni ai propri prodotti. Un progetto di cui alla lunga anche noi godremo gli effetti, visto che anche noi compriamo prevalentemente prodotti di aziende che hanno sede da quelle parti. Ma le difficoltà incontrate da Busch a entrare nei processi di produzione sono notevoli e i tempi sono lunghi. Negli ultimi anni una certa consapevolezza si è sviluppata anche nelle aziende produttrici di server: Intel, ad esempio, invece di rincorrere solo processori più veloci, che consumano sempre più energia, si è posta anche una serie di obiettivi da raggiungere nel campo dell'efficienza, imponendosi un benchmark di performance per watt molto ambizioso. Ma vaste inefficienze, secondo Koomey, sono ancora ampiamente tollerate nel settore. L'unico deterrente è la limitazione della potenza disponibile. "Negli stabilimenti – puntualizza Koomey – spesso c'è solo una certa potenza disponibile e quindi gli uomini dell'informatica non possono continuare ad aggiungere all'infinito server inefficienti alla loro collezione. Devono mettersi a ragionare in termini di risparmio. Ma non certo per una consapevolezza ambientale o per contenere la bolletta. Solo per un limite fisico imposto agli impianti".

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