C' è chi li considera affamatori di popoli e traditori della vera anima ecologista, ma i biocombustibili ormai sono già decollati: il barile a cento dollari e le fosche previsioni sul futuro del petrolio sono argomenti sufficienti per alimentare il boom. Quest' anno la coltivazione di campi destinati a fini energetici in Europa ha superato tutte le attese: per la prima volta, la produzione europea ha interessato 2,84 milioni di ettari, superando così l' obiettivo dei due milioni di ettari fissato dalla Commissione. Tanto che Bruxelles sta meditando di ridurre gli aiuti, previsti per avviare un mercato ormai lanciato. Anche il Fondo monetario internazionale e le Nazioni Unite insistono per fermare i sussidi, che inducono gli agricoltori del mondo industrializzato a utilizzare i raccolti di cereali a fini energetici e spingono in alto il prezzo del pane o della tortilla, mettendo in difficoltà le popolazioni più povere. In Europa, l' obiettivo è quello di «tagliare» tutto il carburante per i veicoli con un 5,75% di biodiesel o bioetanolo entro il 2010, per poi raddoppiare al 10% entro il 2020. Gli Stati Uniti non sono così precisi, ma vanno nella stessa direzione. Il disegno è chiaro: affrancarsi dalla schiavitù del petrolio e dare una spinta all' agricoltura. Ma essendo i biocarburanti molto più cari da produrre dei combustibili fossili, per tenere in piedi il mercato c' è bisogno dei sussidi. Il supporto pubblico per il bioetanolo va dai 30 centesimi al litro negli Stati Uniti a un dollaro nell' Ue, passando dai 60 centesimi della Svizzera, mentre per il biodiesel va dai 60 centesimi negli Usa ai 70 centesimi di Bruxelles. Considerando che la benzina, a pari rendimento, costa 34 centesimi e il diesel 41, si finisce per spendere di più per il sussidio che per la produzione del corrispondente combustibile fossile. Se i conti per ora non tornano sul piano dei costi, il discorso cambia sul piano delle politiche energetiche e ambientali. Secondo il World Energy Outlook 2006 dell' Agenzia Internazionale dell' Energia, infatti, la domanda mondiale di energia primaria è destinata a crescere, tra il 2005 e il 2030, di oltre il 50%. Le economie emergenti, Cina, India, Brasile, Messico, Indonesia, Sud Africa, contribuiranno per due terzi al boom. Se i combustibili fossili copriranno, com' è prevedibile ai ritmi di crescita attuali, oltre l' 85% dell' aumento della domanda di energia, le emissioni globali di anidride carbonica sono destinate a crescere del 55% rispetto al livello attuale, con immaginabili conseguenze sull' effetto serra. Per l' esplorazione dei giacimenti e la costruzione delle infrastrutture, saranno investiti oltre 20.000 miliardi di dollari, in gran parte nelle economie emergenti. «È chiaro che questi investimenti decideranno il futuro energetico e ambientale del pianeta», spiega Corrado Clini, presidente della Global Bio-Energy Partnership, l' azione lanciata dal G8 per non lasciare al caso il futuro del pianeta. «La possibilità di modificare il trend energetico globale verso una minore intensità di carbonio – spiega Clini nella proposta del Gbep, in via di presentazione il 13 novembre al World Energy Congress, che quest' anno si svolge a Roma – è legata allo sviluppo e all' uso, entro il 2030, di fonti energetiche alternative ai combustibili fossili e di tecnologie ad alta efficienza». Non si tratta, naturalmente, di affamare il pianeta per dare energia alle macchine. Ma semplicemente di spostare le colture a fini energetici verso le aree tropicali, dove crescono piante molto più adatte rispetto a quelle coltivate nei climi temperati. Già oggi, il combustibile ricavato dalla canna da zucchero coltivata in Brasile – secondo produttore mondiale di bioetanolo dopo gli Stati Uniti – è perfettamente competitivo con la benzina, mentre quello prodotto negli Usa costa di più e rende di meno. Per fermare la concorrenza brasiliana, Washington e Bruxelles usano l' arma dei dazi, distorcendo il mercato. «È assolutamente chiaro – fa notare Clini – che l' Unione Europea non potrà rispettare l' impegno del 10% di biocombustibili nel portafoglio energetico entro il 2020 senza ricorrere alle importazioni dai Paesi della fascia tropicale. Ma l' importazione è limitata sia dalle barriere tariffarie che dai sussidi ai produttori agricoli europei». Eliminarli potrebbe riequilibrare la situazione e compensare gli aumenti dei prezzi alimentari.
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