La crisi del gas vista da Kiev

La crisi del gas fra Russia e Ucraina è scoppiata, come al solito, all'inizio di gennaio, quando i prezzi e il costo del transito, ridiscussi ogni anno, finiscono ostaggio del clima politico tra i due Paesi. In pochi giorni, il blocco delle forniture russe mette in ginocchio mezza Europa, fortemente dipendente dal metano che arriva dai confini orientali. Il 9 gennaio Roberta Merlo, responsabile del dispacciamento del gas per Edison, è a Kiev, nella delegazione di 18 rappresentanti delle industrie del gas europee, inviata sul posto da Bruxelles per sbloccare la situazione. “La missione doveva durare pochissimo, perché tutti credevamo che appena avviato il monitoraggio, russi e ucraini si sarebbero messi d'accordo”, spiega Roberta, 38 anni, che lavora in Edison da un decennio e si è occupata soprattutto di logistica. Ma non è stato così.
Le pressioni del Cremlino sulle repubbliche ex-Urss che godono ancora di un prezzo di favore per le forniture di gas, non sono uguali per tutti. E l'arbitrarietà di queste decisioni non aiuta il dialogo. Bielorussia e Armenia, rimaste fedeli a Mosca, sono ancora sussidiate dal Cremlino. L'Ucraina no. La determinazione di Gazprom di alzare il prezzo scatta, guarda caso, con la vittoria della Rivoluzione Arancione di Viktor Yushchenko, nel 2005. All'epoca l'Ucraina pagava solo 50 dollari per mille metri cubi di gas. Al rinnovo del contratto, a fine anno, la nuova richiesta di Aleksej Miller, capo di Gazprom, lascia Kiev senza fiato: 230 dollari. Il 1° gennaio 2006, davanti alle resistenze dell'interlocutore, Gazprom passa alle vie di fatto. Siamo al primo taglio delle forniture. Ma le proteste dell'Europa, che riceve l'80% del gas russo attraverso l'Ucraina, convincono Gazprom a più miti consigli: l'accordo fissa il nuovo prezzo a 95 dollari per mille metri cubi.
Seconda puntata. Nel corso del 2008, il Cremlino accusa l'Ucraina, nel frattempo sull'orlo della bancarotta, di non pagare il gas. A fine anno, il dramma si ripete. Taglio delle forniture, salvo quelle destinate all'Europa. Così dice Gazprom. L'Ucraina invece sostiene di non ricevere nulla, causa la caduta di pressione nei gasdotti, che blocca completamente il flusso. In un modo o nell'altro, gli europei sono a secco. Il Cremlino accusa Kiev di “rubare” il gas destinato all'Europa. Bruxelles di mette di mezzo e manda gli osservatori. “Una volta a Kiev – racconta Roberta – abbiamo avuto accesso ai dati del traffico, in entrata al confine russo-ucraino e in uscita verso l'Europa. Non abbiamo potuto far altro che constatare che il gas non passava. Il sistema, infatti, era già sbilanciato e mancava la pressione”. Fino al 15 gennaio, non accade nulla. I colloqui politici continuano, ma l'accordo non c'è. “Dal 15 – ricorda Roberta – abbiamo avuto accesso alle richieste di transito da parte di Gazprom per il gas da inviare all'Europa, che gli ucraini respingevano, adducendo motivi tecnici”. L'accordo politico arriva il 20. “Verso le 12 – spiega Roberta – è entrato il primo gas al confine”. Già il giorno dopo tutto il sistema funziona regolarmente. Ora non resta che aspettare la terza puntata.

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