In pratica, il superuomo è già qui: siamo noi

Più grandi, più forti, più longevi. In trecento anni siamo diventati del 50% più alti e viviamo più del doppio dei nostri antenati. Ma siamo ancora uomini, nel senso di homo sapiens? Robert Fogel, 83 anni, è convinto che la storia dell’evoluzione umana non sia ancora conclusa, anzi, stia accelerando grazie alla crescente potenza della tecnologia. Premio Nobel per l’Economia nel 1993 per aver introdotto il metodo quantitativo nella ricerca storica, direttore del Center for Population Economics dell’università di Chicago, Fogel ha dedicato gli ultimi anni di studio alla sua teoria di una “evoluzione tecno-fisiologica” come forza dominante della recente storia umana, su cui sta per pubblicare un libro che farà discutere: The Changing Body: Health, Nutrition, and Human Development in the Western World since 1700 (Cambridge University Press).
Questa pubblicazione è l’ultimo passo di un percorso lungo, iniziato negli anni Ottanta studiando la fisiologia dei soldati che hanno combattuto nell’esercito nordista, la Union Army, nella guerra di secessione americana. “Quei ragazzi, arruolati nel 1861 per difendere la causa del Nord, rappresentano la prima generazione di americani che abbia raggiunto i 65 anni nel Ventesimo secolo ed è anche il primo gruppo di veterani seguito dai servizi sociali fino alla morte, con la registrazione dettagliata di tutta la loro storia sanitaria, ora depositata negli archivi nazionali a Washington”, racconta Fogel. I registri sanitari della Union Army sono una fonte inesauribile di dati, alla quale Fogel si è abbeverato per una decina d’anni, confrontandoli poi con le caratteristiche fisiche degli americani di oggi. Da qui, ha allargato il suo studio al resto del mondo, sfruttando i dati già raccolti da altri studiosi, soprattutto in Europa ma anche in Cina e in India.
“L’evidenza che ne abbiamo ricavato è talmente univoca da sorprendere anche me”, commenta Fogel. “L’uomo moderno non solo è molto più grande e più longevo di cent’anni fa, ma è anche più forte a livello biologico, perfino i nostri organi interni sono meglio formati e non cadono a pezzi davanti all’attacco degli agenti patogeni come un tempo”. I dati a disposizione ci dicono che all’inizio del ‘900 l’aspettativa di vita in Europa era di 47 anni, mentre oggi è di 80. In India, nel 1930 era di 29 anni, oggi è di 70. L’altezza media dei maschi europei è cresciuta di quasi trenta centimetri dal 1864 ad oggi. E gli anziani di oggi non sono più tormentati da una miriade di malattie croniche, dall’artrite all’ernia, un tempo molto comuni. “Tra i soldati della Union Army – riassume Fogel – solo uno su 4000 è riuscito a vivere fino a cent’anni, mentre nella generazione della mia prima nipotina, che è nata nell’81, uno su due ci arriverà. In pratica, da allora ad oggi l’aspettativa di vita è cresciuta di un anno ogni tre. E non c’è motivo per cui sia destinata a fermarsi: nel 2050 potrebbe sfiorare i cento e così avanti”. Tutto ciò, grazie al progresso tecnologico messo a segno in tutti i campi, dalla meccanica alla medicina, passando per le tecniche agricole. “Ma soprattutto – precisa Fogel – grazie a un circolo virtuoso innescato dalle sinergie fra il nostro corpo e le nuove tecnologie che si trova a disposizione: se è vero che la tecnologia ci ha rafforzati migliorando l’alimentazione e la vita quotidiana, è anche vero che la buona salute ha contribuito significativamente allo sviluppo economico e tecnologico”. Mettendo assieme i fattori fisiologici con quelli termodinamici, si può affermare che l’efficienza media del motore umano nel Regno Unito, ad esempio, sia cresciuta del 53% tra il 1790 e il 1980 e che abbia contribuito alla metà della crescita economica britannica.
Le sinergie fra il progresso fisiologico e tecnologico, dunque, hanno messo in moto un fenomeno unico nell’ambito delle 7000 generazioni umane che hanno abitato la Terra, consentendo fra l’altro l’esplosione demografica che ha portato l’umanità a crescere dai 600 milioni di individui nel 1700 ai 6 miliardi e 800 milioni di oggi, verso i 9 miliardi nel 2050. Ma fanno degli esseri umani di oggi una specie nuova? Sull’imprinting genetico della sua “evoluzione tecno-fisiologica”, Fogel non ha certezze: non si spinge fino a sostenere che se potessimo accoppiarci con i nostri antenati non saremmo più in grado di procreare. Gli basta stabilire una serie di punti fermi sull’evoluzione umana recente, con cui possiamo permetterci di prevedere l’andamento futuro. “Negli ultimi due secoli l’uomo ha sviluppato, per la prima volta nella storia, la capacità di migliorare in maniera drastica le proprie prestazioni fisiche: malgrado i disagi cui andremo incontro, causati dalla relativa sovrappopolazione e dalla scarsità di risorse, è troppo semplicistico basare i nostri calcoli futuri sulle condizioni tecnologiche di oggi. Come possiamo sapere quale sarà l’effetto delle biotecnologie sull’evoluzione della nostra specie”.
In pratica, il superuomo è già qui. Siamo noi.