L’agricoltura urbana salverà il mondo

Nel 1900, solo il 10% della popolazione mondiale viveva in città. Quest'anno, per la prima volta nella storia dell'umanità, oltre la metà di noi risulta concentrata in agglomerati urbani sempre più densi. E le previsioni dicono che già nel 2030 saremo all'80% cittadini. Da qui nasce l'idea dell'agricoltura urbana. Per alimentare tutta questa gente, quale sistema migliore di costruire in loco le fattorie dove cresceranno le piante destinate a sfamarli? Ma anche per ridurre l'impronta agricola delle città, che divora sempre più territorio. L'impronta agricola di New York, ad esempio, ha ormai raggiunto le dimensioni della Virginia. Non a caso, è proprio New York il principale laboratorio mondiale in materia di urban farming, a partire da Dickson Despommier, un professore della Columbia che predica l'agricoltura urbana già da vent'anni, fino ai progetti più recenti, realizzati o in via di realizzazione. Come la trasformazione del cortile interno al Contemporary Art Center di Queens in un enorme orto urbano distribuito su grandi bidoni verticali, o la costruzione, appena cominciata a Brooklyn, di una scuola con spettacolare serra annessa, dove i ragazzi coltiveranno quello che mangiano a pranzo.

Le due opere sono state progettate dalla stessa coppia di architetti, la libanese Amale Andraos e l'americano Dan Wood, entrambi usciti dallo studio di Rem Koolhaas e impegnati da anni nella creazione di edifici urbani che diano spazio alle piante, come la nuova biblioteca dei Kew Gardens, coperta da un tetto erboso. Il progetto Edible Schoolyard, che stanno realizzando a Brooklyn, nasce dall'impegno di Alice Waters, fra i più seguiti guru americani dell'alimentazione naturale, che gestisce in California un tempio della cucina biologica, Chez Panisse. Waters, autrice di molti libri sull'argomento, ha contribuito negli anni Ottanta a Berkeley alla fondazione del primo Edible Schoolyard, dove il rapporto diretto con la terra viene utilizzato come strumento pedagogico. A Brooklyn il progetto è molto più ambizioso: la scuola costerà 1,6 milioni di dollari e sarà più grande, dovendo ospitare 500 ragazzini dall'asilo fino alle medie, con ampie zone a pannelli fotovoltaici per abbattere i consumi di combustibili fossili.

Una novità ancora più importante sta sorgendo dall'altra parte dell'East River: il primo edificio completamente carbon neutral di Manhattan, chiamato Solar2 e disegnato da Kiss & Cathcart, dove il pezzo forte sarà una serra integrata verticale progettata da BrightFarm Systems. Il sistema di BrightHouse, una società specializzata nella coltivazione idroponica, che ha già costruito varie serre sui tetti di New York, consiste nell'orticoltura senza bisogno di terra: il nutrimento necessario viene fornito alle piante direttamente sciolto nell'acqua con cui vengono irrigate. In questo caso lattuga, pomodori e cetrioli verrebbero inseriti in doppia fila nell'intercapedine fra le due superfici di vetro della facciata ventilata, esposta a Est sulla riva del fiume, appoggiate su dei vassoi irrigati sempre in movimento, che salgono fino in cima alla parete trainati da cavi laterali e poi scendono dall'altra parte. Il movimento perpetuo permette d'intercettare il massimo della luce e il sistema di cavi consente di lasciare più o meno spazio fra un vassoio e l'altro per far entrare più o meno luce nell'edificio, a seconda delle stagioni. La presenza delle piante aumenta l'isolamento del palazzo, riducendo i costi di riscaldamento, raffreddamento e insonorizzazione, mentre la vendita del "raccolto" (che avviene sempre alla base) offre un'entrata fissa agli abitanti.

Ma New York non è l'unico laboratorio dell'agricolutra prossima ventura. A Londra si progetta una fattoria urbana al posto della centralissima Leadenhall Tower, il grattacielo di 48 piani disegnato da Richard Rogers in piena City, che i londinesi avevano già soprannominato Cheese Grater per la sua parete inclinata. La crisi immobiliare ha bloccato la costruzione quest'estate, prima di cominciare e British Land in autunno ha indetto un concorso per riutilizzare il prezioso appezzamento: "Abbiamo bisogno di qualcosa di rapido per tappare il buco e non è l'unico buco in città che andrà tappato", ha detto Christine Cohen, presidente del comitato progettuale, spiegando il cambio di programma. Il concorso è stato vinto dalla fattoria urbana di Piers Taylor, un'architetto di Bath con ampia esperienza in urban farming. E così a Leadenhall Street si coltiveranno su una serie di fantasiose piattaforme le carote e i pomodori che andranno poi in vendita in una serie di chioschetti in mezzo alla City. Ma altri preziosi buchi neri londinesi sembrano destinati a trovare lo stesso uso. La società immobiliare che stava sviluppando il sito dell'ex ospedale di Middlesex, a Noho (North Soho), ha deciso di virare verso un progetto "Growho" finché non passa la buriana. E anche per un isolato sventrato su Oxford Street si comincia a parlare di fattoria urbana.

Ben più ambizioso è il progetto di Andrew Maynard, un giovane architetto australiano molto noto per il suo impegno ambientalista, che sta cercando di convertire a Urban Orchard i tetti dei grattacieli di Melbourne, con un sistema che si autoalimenta attraverso la produzione di energia dalle biomasse di scarto: ogni tetto riconvertito dovrebbe avere alla base un punto vendita per le verdure coltivate in loco, aumentando così decisamente la sostenibilità del prodotto, che non avrebbe più bisogno di essere trasportato a Melbourne da lontano. Il suo progetto ha vinto il concorso Growing Up 2009, indetto dalla città di Melbourne per riconvertire i tetti dei grattacieli a verde pubblico, e ha buone probabilità di essere presto tradotto in pratica.