La scure di Calderoli sull’energia del vento

Non c'è crisi per
l'eolico a livello globale, ma l'Italia rischia una brusca frenata quest'anno.
Nell'ultimo decennio il settore è cresciuto con una media annua del 23% e il
futuro prossimo promette bene: i 158 gigawatt installati nel mondo a fine 2009
potranno essere oltre 400 nel 2014 per il Global Wind Energy Council. In
Italia, il 2009 è stata un'annata record: la potenza totale accumulata è
cresciuta del 30%, arrivando a 4.850 megawatt a fine anno e ha continuato la
sua corsa nel 2010, fino a 5.200 megawatt a fine maggio. Puntava già su quota 6
giga per l'inizio del 2011.

"Invece, qui
ci fermiamo", commenta mestamente Simone Togni, direttore
dell'Associazione nazionale energia del vento. Con l'articolo 45 della
finanziaria, infatti, il ministro Roberto Calderoli ha calato la scure
sull'eolico italiano, abolendo l'obbligo per il Gestore dei servizi elettrici
(con valore retroattivo) di acquistare i certificati verdi rimasti invenduti
sul mercato. Sono appunto i certificati verdi che finanziano tutte le fonti
rinnovabili, tranne il fotovoltaico: non con i soldi dei contribuenti, ma delle
compagnie energetiche che producono elettricità da fonti fossili. In pratica,
il certificato verde è una penalità: chi genera energia ha l'obbligo di
produrne una quota (ora del 6%) da fonti rinnovabili, ma se non ci arriva deve
acquistarla sul mercato, in forma di certificati verdi, venduti dalle aziende
specializzate nelle fonti rinnovabili per finanziare la propria attività. Il
Gestore dei servizi elettrici fa da camera di compensazione di questo mercato:
ne vende se c'è carenza di offerta e ne acquista se c'è carenza di domanda. I
guadagni e le perdite vanno a incidere sulle bollette, abbassando o alzando la
componente A3, che finanzia per l'appunto lo sviluppo delle fonti rinnovabili.

Il governo ha
deciso a suo tempo che questo meccanismo deve restare in piedi finché l'Italia
non avrà raggiunto l'obiettivo richiesto dall'Europa al 2020: una quota del 30%
di fonti rinnovabili sul mix energetico nazionale. Negli anni di vacche magre,
quando le fonti rinnovabili erano merce rara, il Gse ha fatto lauti guadagni su
questo mercato, vendendo i certificati che mancavano. Ma dall'anno scorso c'è
un'eccedenza di certificati verdi sul
mercato e quindi il Gse deve
comprare, per non far crollare i prezzi. Questi titoli, che premiano la
produzione di energia da fonti rinnovabili, ad oggi sono venduti in media a 88
euro per megawattora. Ma se mancasse l'intervento del Gse, come indicato
dall'emendamento Calderoli, i prezzi scenderebbero a 60-65 euro. Equita Sim ha
esaminato i possibili effetti negativi della nuova norma sulle aziende quotate
attive su questo mercato e le ricadute stimate sul margine operativo lordo
2010-2011 rischiano di essere notevoli: del 20-25% per Alerion e per Erg Renew,
del 6-7% per Iride, del 5% per Enel Green Power (debuttante in autunno),
dell'1-2% per Hera e dell'1% per Edison.

"Interrompendo
questo meccanismo, per di più con valore retroattivo, il governo ha generato
sui progetti già in essere una grave situazione di insolvenza", spiega
Togni. "Il sistema creditizio, che ha partecipato al finanziamento di
circa 2,5 gigawatt di potenza concedendo finanziamenti per 4 miliardi e mezzo
di euro, valuta che tali investimenti siano già a rischio default, per non
parlare di quelli futuri per ulteriori 1,75 gigawatt di potenza", precisa
Togni. In pratica, dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale le erogazioni dei
finanziamenti già in essere verranno sospese e le distribuzioni di eventuali
dividendi già maturati verranno bloccate, con impatto sui nuovi investimenti e
sulla liquidità dei produttori. Non a caso, il provvedimento ha scatenato una
vera e propria levata di scudi fra gli operatori, con reazioni di tutte le
associazioni di categoria, dall'Aper all'Anev, dalla Fiper a Federambiente,
passando per Fise Assoambiente. Perfino Emma Marcegaglia è intervenuta in prima
persona a favore di una correzione.

"Speriamo
che la norma venga rivista nel corso del dibattito in Parlamento – auspica
Togni – ma anche in questo caso, con un fermo di almeno un paio di mesi, la
crescita dell'eolico quest'anno resterà azzoppata e una parte dei 25mila
lavoratori dell'eolico rischia il posto per il default tecnico degli impianti.
Per non parlare della perdita di credibilità del Paese nei confronti di chi è
venuto dall'estero a investire sul vento italiano".