Il grande vincitore, dopo Fukushima, è il gas naturale. I primi effetti di breve termine si sono già sentiti sui mercati internazionali, con l'impennata dei prezzi nelle scorse settimane. Ma anche sul lungo periodo, la battuta d'arresto del nucleare beneficerà le grandi major del settore e i Paesi ricchi di metano, come il Qatar, dove Shell sta costruendo un gigantesco impianto per esportare gas naturale liquefatto (Gnl) via nave, o l'Australia, dove sono in via di realizzazione diversi terminali di liquefazione, come quello di British Gas nel Queensland. Ian Cronshaw, direttore dell'Agenzia internazionale dell'energia, ha reso noto che nel 2010 il commercio mondiale di Gnl è arrivato a 300 miliardi di metri cubi, il 20% in più rispetto al 2009. Anticipando il rapporto Golden Age of Gas, che sarà presentato il prossimo 6 giugno, Cronshaw ha precisato che in Cina il consumo di Gnl è salito dai 70 miliardi di metri cubi del 2007 a quasi 110 l'anno scorso, mentre in Europa, nonostante la crisi economica, la domanda è cresciuta del 30%, toccando i 90 miliardi di metri cubi. In complesso, la previsione è che il 21° secolo sarà l'era del gas, così come il 20° è stato l'era del petrolio.
La sfida, per le major mondiali, è riuscire a produrre abbastanza gas da soddisfare la domanda: tutte hanno annunciato negli ultimi mesi significativi aumenti degli investimenti dedicati a esplorazione e produzione, ma il problema è ottenere l'accesso a nuove riserve. La via maestra, scelta da diverse compagnie occidentali, è quella delle alleanze sempre più strette con i petrolieri di Stato dei Paesi produttori. Bp, ad esempio, sta tentando di entrare nel gigante russo Rosneft, con scarso successo, per ora, a causa di precedenti accordi con un'altra società, che ostacolano questa fusione. Eni e PetroChina hanno firmato un memorandum per una serie di iniziative congiunte sia in Cina che a livello internazionale. Paolo Scaroni, numero uno dell'Eni, si è detto convinto che il mercato del gas cinese sia uno dei più promettenti del mondo: "Il gas rappresenta oggi il 3% dei consumi della Cina, quindi insignificante, ma se la Cina vuole ridurre le emissioni di CO2 c'è un solo modo per farlo: più gas e meno carbone".
Un nuovo attore, nel frattempo, si sta affacciando sul mercato globale del gas e presto potrebbe competere con i grandi esportatori: gli Stati Uniti. Le nuove tecnologie di estrazione del gas da formazioni argillose, chiamate scisti, hanno liberato il potenziale di crescita del cosiddetto shale gas, che in pochi anni ha saturato il fabbisogno americano di metano e ora comincia ad abbondare, tanto che diversi player stanno progettando impianti di liquefazione, da Freeport Lng a Cheniere Energy, per avviarne l'esportazione su vasta scala. Ai prezzi attuali, il gas americano è molto conveniente rispetto a quello europeo e fa gola ai Paesi importatori. Gli analisti stimano che ce ne sia più che a sufficienza, sia per dare energia alla prevedibile ripresa dell'economia Usa, sia per esportarlo all'estero.
Resta il fatto che la nuova tecnologia, finora utilizzata prevalentemente negli Stati Uniti, non ci metterà molto a diffondersi. Già diverse major si sono comprate l'accesso al mercato americano e al relativo know-how, entrando in piccole compagnie locali, come l'Eni nella texana Quicksilver Resources. Ora sono attrezzate per dare il via allo sfruttamento dei giacimenti europei, concentrati soprattutto in Polonia e nel bacino del Baltico. "Si ritiene che in Europa ci siano abbondanti riserve di shale gas, noi ci crediamo e abbiamo cominciato un'esplorazione in Polonia”, ha detto Scaroni, precisando che le attività nel gas non convenzionale polacco si baseranno "sulle tecnologie apprese con l'acquisto della statunitense Quicksilver".
Non è chiaro quanto shale gas sia estraibile in Europa, ma secondo un primo report del Cera – la società di Daniel Yergin, autore del celebrato The Prize sulla storia delle fonti fossili – le nostre potenzialità non sono inferiori a quelle americane. Lo studio, appena uscito, stima che nei prossimi 10-15 anni l'Europa potrà produrre gas non convenzionale da un minimo di 60 miliardi di metri cubi a un massimo di 200 miliardi l'anno, più di quanto si produca oggi in Nord America. Lo stesso ministero dell'Energia americano conferma questi dati in un recentissimo rapporto, dove si leggono alcuni numeri incoraggianti: le riserve tecnicamente recuperabili di shale gas sono stimate in 187mila miliardi di metri cubi, che amplierebbero del 40% le riserve mondiali di gas. Di questi, 25mila miliardi sarebbero recuperabili nel sottosuolo americano e il resto in altri 34 Paesi del mondo, tra cui Cina (36mila miliardi), Argentina (22mila miliardi), Sud Africa (14mila miliardi), Polonia (5mila miliardi) e Francia (altri 5mila). L'Italia non è citata nel rapporto, che considera trascurabili le sue riserve di shale gas. Complessivamente, il governo americano stima in 17mila miliardi di metri cubi le riserve europee di gas non convenzionale, un bacino di tutto rispetto, di poco inferiore a quello statunitense.