Le nuove miniere non si scavano sottoterra, ma nei rifiuti

Le nuove miniere non si scavano sottoterra, ma nei bottini delle immondizie. L'economia del riciclo delle materie prime seconde è uno dei settori che cresce di più in questa difficile congiuntura europea. "Per un continente tradizionalmente povero di materie prime come il nostro, il riutilizzo dei materiali già presenti sul territorio rappresenta ormai una delle fonti primarie di approvvigionamento e un fattore chiave per la competitività del sistema industriale, soprattutto di questi tempi, con i prezzi delle materie prime alle stelle", spiega Corrado Scapino, presidente di Unire, l'associazione confindustriale che rappresenta le aziende del recupero rifiuti, promotrice dello studio annuale "L'Italia del riciclo" insieme alla Fondazione per lo sviluppo sostenibile di Edo Ronchi. Con quasi 34 milioni di tonnellate di materiali recuperati, nel 2010 l'economia italiana del riciclo è cresciuta del 40% rispetto al 2009. "Ma abbiamo ancora molto spazio per migliorare", commenta Scapino.

In Europa lo slancio di valorizzazione del rifiuto è tale, che la Germania sta addirittura prendendo in considerazione l'ipotesi di andare progressivamente a scavare nelle discariche già bonificate, per tirar fuori anche da là i metalli rimasti sepolti nei secoli di utilizzo. Già oggi l'acciaio tedesco è prodotto almeno al 50% riciclando resti rottamati. Potrebbe essere così anche per l'Italia, dove il pattume genera un business da 15-20 miliardi – in base ai calcoli dell'Energy & Strategy Group del Politecnico di Milano – comprendendo tutte le attività connesse, dalla raccolta alla valorizzazione finale. Il settore gira attorno a 32 milioni di tonnellate di rifiuti urbani all'anno, per la cui gestione si spendono complessivamente tra i 200 e i 250 euro a tonnellata, e 150 milioni di rifiuti industriali, il cui smaltimento ovviamente ha costi ben più elevati. Ma qui il recupero dei materiali è molto meno efficiente.

Con una produzione annuale di oltre mezza tonnellata pro capite, l'Italia è il terzo Paese europeo per dimensione del mercato dei rifiuti urbani, ma in questo segmento – secondo i dati del Politecnico – il riciclo si ferma al 33%, mentre il 53% finisce in discarica, con divari enormi da regione a regione (dal 9% della Lombardia al 99% della Sicilia), e solo il 14% dei rifiuti viene sfruttato come combustibile per produrre energia. Una situazione preoccupante, considerando che la Commissione europea si sta orientando per vietare le discariche in tutta l'Unione e impone di arrivare al 50% di riciclo entro il 2020. Germania, Austria, Svezia e Danimarca hanno già messo le discariche fuori legge e in questi Paesi, ma anche in Francia, Olanda e Belgio, il riciclo dei rifiuti urbani oscilla fra il 40 e il 70%. Il resto si brucia nei termovalorizzatori. Il salto di qualità del recupero, nel resto d'Europa, è avvenuto proprio con il divieto delle discariche. In Italia, invece, il rifiuto gettato in oltre mille discariche è troppo remunerativo per valorizzarlo come materia prima o combustibile, soprattutto da Roma in giù. A Malagrotta, l'ottavo colle dell'Urbe, un disastro ambientale già ampiamente fuorilegge secondo Bruxelles, l'avvocato Manlio Cerroni intasca 72 euro per ogni tonnellata di pattume che arriva sui suoi terreni. Riciclo e valorizzazione energetica gli farebbero un grosso danno.

Dati sconfortanti arrivano anche dal recupero degli inerti in edilizia, che non supera il 10% su un totale gigantesco, di 60-70 milioni di tonnellate. Va un po' meglio nel recupero dei rifiuti industriali, dove i metalli si riciclano ormai all'80% e la carta al 60%. Aumenta anche il recupero dei rifiuti elettrici, che nel 2011 ha superato le 265mila tonnellate, +6% rispetto al 2010. "Siamo finalmente oltre l'obiettivo europeo di 4 chili per abitante, ma c'è ampio spazio per crescere, visto che almeno due terzi degli elettrodomestici consumati scompaiono per mille rivoli e vanno a inquinare l'ambiente con i gas e le componenti chimiche tossiche che contengono", spiega Giorgio Arienti, direttore generale di Ecodom, il consorzio che se ne occupa. Se in Svezia o in Svizzera se ne recuperano 16 chili per abitante e in Germania 12, vuol dire che nel nostro sistema c'è qualcosa che non va, secondo Arienti. "In particolare, bisognerebbe facilitare il più possibile la restituzione degli elettrodomestici ai negozianti, senza costringere i cittadini a registrarsi con nome e cognome per ogni apparecchio vecchio che consegnano quando ne comperano uno nuovo", suggerisce. E' anni che gli operatori interessati chiedono al governo di facilitare le consegne, senza successo.