La caccia ai brevetti fa sboom

Prima è arrivata la bolla della Net Economy, poi la bolla immobiliare, ora siamo alla bolla dei brevetti? Il valore della proprietà intellettuale in mano all’industria americana supera ormai i 2mila miliardi di dollari e la maggior parte delle fusioni e acquisizioni, soprattutto nell’Ict, dipendono dalla caccia ai brevetti. Ma c’è qualcuno che comincia a mettere in discussione il valore di questi titoli di monopolio tecnologico, che ormai sono diventati una classe di asset a sé. La rinuncia di Elon Musk a far valere i propri diritti sui brevetti che proteggono la tecnologia di Tesla, dunque, non sarebbe altro che la constatazione di un dato di fatto. E cioè che “ottenere un brevetto equivale a comprare un biglietto della lotteria per una causa in tribunale”, come ha ammesso lui stesso nel proclama con cui annunciava la decisione di rinunciare a difendersi contro “chiunque utilizzi la nostra tecnologia in buona fede”, una mossa applaudita dai suoi fan come un atto di grande generosità e una benedizione per lo sviluppo futuro dell’auto elettrica.

A ben vedere, la decisione di Musk, certamente apprezzabile nella sua rude schiettezza, sembra piuttosto un atto di protesta contro un sistema che si sta incartando. La continua minaccia dei “patent trolls”, che riescono a invalidare un brevetto su due se lo impugnano in tribunale, rischia di mettere in discussione una parte consistente dell’economia del mondo industrializzato, considerando che i settori ad alta intensità di proprietà intellettuale sostengono il 35% del Pil Usa, con i relativi 22 milioni di posti di lavoro. Almeno 100mila aziende americane, in base a un rapporto del governo Usa, sono state trascinate in tribunale l’anno scorso da società la cui sola missione è incassare i soldi delle licenze su brevetti che hanno acquisito per un tozzo di pane, spesso da imprese in bancarotta. In Europa il fenomeno dei troll è meno diffuso, perché chi perde la causa paga tutte le spese legali, che possono essere molto salate, mentre negli Usa ognuno paga le proprie. Dopo l’ultima sentenza della Corte Suprema sulla brevettabilità del software (Alice versus Cls Bank), si sono ridotti i margini di manovra dei troll nel campo dell’Ict, ma anche il fenomeno dei troll discende dalla fragilità intrinseca di un sistema che si sta gonfiando a dismisura.

Ai tempi della prima legislazione sui brevetti, promulgata nel 1474 dal Senato della Repubblica di Venezia (“Siando prohibito a chadaun altro in alguna terra e luogo nostro, far algun altro artificio, ad immagine et similitudine di quello, senza consentimento et licentia del auctor, fino ad anni 9”), ricevere un brevetto o patente (da “litterae patentes”) era molto difficile e altrettanto difficile era ottenerne l’invalidità da un tribunale. Oggi non è più così. Nel 2012 sono state depositate 2,35 milioni di richieste di brevetto nel mondo, quasi il 10% in più del 2011, un salto senza precedenti. Nel 2012 c’erano circa 8,7 milioni (+8%) di brevetti in vigore complessivamente a livello globale, in base ai calcoli del Wipo. Ma le cause crescono ancora più rapidamente. Nel 2012 hanno superato i 5mila casi negli Stati Uniti (+30%), con diversi risarcimenti miliardari: Monsanto versus DuPont, Apple versus Samsung e Carnegie Mellon versus Marvell. Prima del 2012, c’era stato solo un caso di risarcimento miliardario in tutta la storia del Wipo, in base a uno studio di PriceWaterhouseCoopers.

La crescita del numero di brevetti depositati e concessi negli ultimi vent’anni si è accompagnata a un aumento esponenziale del loro valore. Nel primo semestre 2011 i 6mila brevetti di Nortel sono stati venduti a un prezzo unitario di 700mila dollari per brevetto e nel secondo semestre i 25mila brevetti di Motorola Mobility sono stati piazzati a 510mila dollari l’uno. Si tratta di brevetti che sono costati 20-50mila dollari dal deposito della richiesta all’atto di vendita, quindi il valore aggiunto è stratosferico. Resta da chiedersi quanti di questi brevetti, sfidati in tribunale, riuscirebbero a resistere. C’è chi sostiene, fra gli analisti del settore, che circa il 20% dei brevetti in vigore negli Stati Uniti in realtà non valgono nulla.

Nel 2012 Kodak ha ottenuto valutazioni molto più contenute per il suo portafoglio di 1.100 brevetti, che alla fine di una lunga trattativa sono stati venduti nel febbraio dell’anno scorso a una media di 480mila dollari l’uno. Negli ultimi mesi, i valori di vendita sono ulteriormente scesi, ma con l’avvio del brevetto unitario europeo si prevede qualche sobbalzo da questa parte dell’Atlantico. Il picco delle valutazioni, dunque, è stato superato e siamo sulla china discendente. La bolla si sta sgonfiando. C’è solo da sperare che non scoppi.

@elencomelli