Altro che obiettivo 2 gradi. Energia e clima sono il buco nero del futuro, su cui nessuno ha voglia di sporgersi, ma rischiamo di caderci dentro lo stesso. Nel Climate and Energy Outlook del Mit, questo rischio è ben delineato: se l’anno prossimo i negoziati della COP 21 di Parigi non otterranno risultati migliori di quelli che ci si aspetta, il pianeta si avvierà verso un riscaldamento compreso fra 3,3 e 5,6 gradi a fine secolo. Un aumento considerato catastrofico dagli scienziati dell’International Panel on Climate Change, che proprio oggi devono sfornare il rapporto che “indica la tabella di marcia con cui i politici, si spera, potranno trovare la loro strada verso un accordo globale” per contenere il riscaldamento entro la soglia dei 2 gradi, ha detto il presidente dell’Ipcc, Rajendra Pachauri. Altrimenti, sostiene il rapporto del Mit, andiamo incontro alle note conseguenze, in termini di stravolgimento delle precipitazioni, innalzamento del livello del mare e acidificazione degli oceani, intensificazione di eventi meteorologici estremi, carenze idriche, perdita di biodiversità, impatti sulla produzione agricola e via dicendo.
Se non si cambierà modello, sostiene il Mit, la domanda di energia primaria da qui al 2050 raddoppierà, a causa della crescita demografica ed economica della popolazione mondiale, e continuerà a essere soddisfatta all’80% dalle fonti fossili, nonostante la crescita impetuosa delle fonti rinnovabili. Di conseguenza, le emissioni di gas serra saliranno a 77 miliardi di tonnellate nel 2050 e al 2100 arriveranno a 92 miliardi di tonnellate, un raddoppio secco rispetto al 2010. Per proteggere il pianeta da eventi catastrofici, l’indicazione degli scienziati dell’Ipcc è di tagliare più decisamente le emissioni di CO2, con il finanziamento massiccio di tecnologie sostenibili e lo sviluppo delle rinnovabili. Non che negli ultimi anni l’umanità sia stata con le mani in mano: in un decennio la potenza installata di fonti rinnovabili è cresciuta dell’85%, superando i 1.700 gigawatt di potenza, cioè il 30% del totale, e oggi le fonti pulite contano per oltre metà della nuova potenza installata annualmente. Ma non basta ancora. Per mantenere il riscaldamento del pianeta entro la soglia critica dei 2 gradi, il contributo delle energie pulite dovrebbe perlomeno raddoppiare, secondo l’ultimo rapporto dell’International Renewable Energy Agency.
Negli ultimi 40 anni, ricorda l’Irena, la popolazione mondiale è passata da 4 a 7 miliardi di persone e la domanda elettrica è cresciuta del 250%. Da qui al 2030 il rapporto stima una crescita di un altro miliardo di persone, con un aumento del fabbisogno elettrico globale del 70%, dai 22.126 terawattora del 2011 a 37.000 terawattora. Questo nuovo fabbisogno, sostiene Irena, dovrebbe e potrebbe essere soddisfatto in larga misura con le fonti rinnovabili, in misura circa doppia di quel che si sta già facendo.
La chiave di volta di questa crescita, per ammissione di tutti gli esperti ormai, sarà l’energia solare. In base a due rapporti abbastanza rivoluzionari dell’International Energy Agency, nel 2050 il solare peserà per la fetta più grande del mix elettrico mondiale, superando fossili, eolico, idroelettrico e nucleare. Il fotovoltaico infatti potrebbe contribuire per il 16% della domanda elettrica mondiale, mentre un altro 11% potrebbe venire dal solare a concentrazione. Secondo il rapporto Iea, che di norma è un’agenzia molto conservatrice, la potenza fotovoltaica cumulativa installata a livello globale supererà i 400 gigawatt nel 2020, dai 140 gigawatt di oggi (erano appena 100 megawatt all’inizio degli anni Ottanta).
Sarà la Cina a guidare la crescita, con 110 gigawatt di nuova potenza installata. Seguiranno Giappone e Germania, con 50 gigawatt ciascuno, poi gli Usa con oltre 40 gigawatt. L’Italia e l’India si aggiudicheranno, probabilmente, il quinto e sesto posto rispettivamente con 25 e 15 gigawatt di nuova potenza installata al 2020. A pari merito Regno Unito, Francia e Australia con circa 10 gigawatt. La potenza fotovoltaica installata a livello globale produrrà entro la fine del 2019 tra i 530 e i 580 terawattora l’anno, circa il 2% del consumo globale di elettricità.
Dopo il 2030, secondo gli scenari delineati dalla Iea, le cose cambieranno. Dopo aver raggiunto quote tra il 5 e il 15% della generazione annuale di elettricità, il kilowattora da fotovoltaico inizierà a perdere valore sui mercati all’ingrosso, per la sovrabbondanza di offerta nelle ore centrali della giornata, che farà abbassare i prezzi di mercato quasi a zero. A quel punto il solare termodinamico, che conta oggi solo 4 gigawatt di potenza globale installata contro i 150 gigawatt del solare fotovoltaico, diventerà competitivo e potrà decollare. L’insieme di queste due tecnologie potrebbe contribuire alla riduzione delle emissioni climalteranti al 2050 per il 29%. Basterà?