Andremo tutti a vivere in città

Per la prima volta nella storia, all’inizio di questo decennio la popolazione urbana del pianeta ha superato quella rurale. La potenza economica del mondo si concentra nelle città: la metà urbana dell’umanità produce oltre l’80% della ricchezza globale. Ma consuma anche l’80% dell’energia. E il moderno homo civicus è una categoria in rapida espansione: cresce al ritmo di 65 milioni di individui l’anno, che sarebbe come dire sette nuove Chicago alla volta. Nel 2050 sarà cittadino il 66% del genere umano, secondo il rapporto World Urbanization Trends dell’Onu. Nel 2030 avremo 41 megalopoli da oltre 10 milioni di abitanti, contro le attuali 28. E’ il trionfo delle città: “Il successo dei territori dipende dal flusso delle idee e nelle aree più dense le idee sono nell’aria”, dice Ed Glaeser nel suo Triumph of the City.

Ma le megalopoli del futuro non saranno più le stesse che conosciamo oggi. Dalla top ten dell’Onu al 2030 sono uscite New York, San Paolo e Osaka, sono entrate Dhaka, Karachi e Lagos. La popolazione urbana e la potenza economica si sposta rapidamente dai Paesi industrializzati verso gli emergenti. Città del Messico, oggi quarta megalopoli mondiale con 20,8 milioni di abitanti, dietro a Tokyo, Delhi e Shanghai, nella classifica del 2030 occupa la posizione più bassa, rimanendo, pur con 24 milioni di abitanti previsti, l’unica esponente di un continente diverso dall’Asia o dall’Africa. Balzano in su, invece, Mumbai al quarto posto con 27,8 milioni di abitanti, Pechino con 27,7 milioni, Dacca con 27,4 milioni, Karachi con 24,8 milioni, Il Cairo con 24,5 milioni e Lagos con 24,2 milioni. Il mutamento di prospettiva rispecchia i vasti spostamenti di popolazione in corso in Asia e in Africa, con l’India che da qui al 2030 vedrà la propria popolazione urbana crescere di 404 milioni di persone, la Cina di 292 milioni e la Nigeria di 212 milioni.

Le città del futuro esprimeranno tutta la ricchezza del pianeta, ma anche tutte le criticità delle megalopoli e dovranno attrezzarsi per sopravvivere al rapido inurbamento, che già oggi mette in crisi la mobilità dei cittadini e l’aria che respirano.

Le differenze di approccio tra Est e Ovest nei confronti della crescita urbana si vedono già oggi. La visione europea e americana della metropoli è dominata dalla preoccupazione di rendere intelligenti i grandi centri storici, aumentando la fluidità di trasporti e comunicazioni, del traffico, dello smaltimento dei rifiuti, della distribuzione di energia e acqua nelle città che già esistono e rischiano di diventare troppo intasate. Nei Paesi emergenti, invece, si tende a costruire nuovi agglomerati da greenfield, intere città pianificate apposta per tagliare al massimo le emissioni, grazie alle tecnologie più innovative per l’efficienza energetica. Due strade diverse e spesso antitetiche verso un obiettivo comune: risparmiare al massimo le risorse sempre più scarse.

Le differenze fra i due modelli assomigliano un po’ al diverso approccio alle tecnologie digitali di un anziano già passato attraverso altre modalità di comunicazione e di un nativo digitale. Mentre Londra sventra tutto il sottosuolo del centro cittadino, da Paddington a Whitechapel, per far spazio alla nuova ferrovia Crossrail e rendere la vita più facile a un altro milione e mezzo di persone, che si troveranno a portata di treno dal Big Ben, in India si stanno costruendo 24 nuove città verdi lungo la linea ferroviaria ad alta velocità fra Delhi e Mumbai. Stoccolma e Milano si preoccupano di decongestionare i centri cittadini già da anni completamente intasati, imponendo un biglietto d’ingresso che limiti l’accesso ai veicoli non elettrici, ma intanto Masdar – uno dei primi esperimenti di pianificazione sostenibile, oggi rallentato dalla crisi dell’immobiliare negli Emirati – non fa nemmeno entrare le auto private, affidando i trasporti a piccole ferrovie leggere e taxi elettrici. Ma i casi citati sono punte di eccellenza. Resta da chiedersi se saranno questi, alla lunga, a prevalere, o invece la crescita disordinata e senza alcuna forma di pianificazione tipica delle città africane.

Le famose pedonalizzazioni, che nelle grandi città del mondo industrializzato hanno scatenato per decenni dispute feroci, sono la regola in vaste aree dei centri urbani nati dal nulla. A Tianjin Eco-City, una città verde che dovrebbe ospitare 250mila persone entro la fine di questo decennio, in via di realizzazione a 150 chilometri da Pechino grazie a una partnership tra Cina e Singapore, è previsto l’utilizzo dei trasporti pubblici, della bicicletta o dei piedi per il 90% degli spostamenti. A Songdo, uno dei progetti più ambiziosi, che sta sorgendo grazie a una collaborazione nippo-sino-coreana a 60 chilometri da Seul con un investimento di 40 miliardi di dollari, i cittadini non dovranno mai camminare più di dieci minuti per raggiungere i trasporti pubblici, un parco o dei negozi e i parcheggi saranno molto cari per disincentivare l’uso dei veicoli privati, con un 10% di posti gratuiti riservati alle auto elettriche.