La luce è di un bel blu acceso, fluorescente e non fosforescente. La sorgente è un materiale organico comunemente chiamato Npd (il nome per intero prende due righe), facile da trattare e stabile. Per il Centro Enea di Portici non è ancora una scoperta da Nobel, come quella che ha portato a Stoccolma i tre scienziati giapponesi scopritori dei led blu, ma è un passo avanti sulla strada dell’illuminazione 3.0 a base organica, che potrebbe portare lontano i suoi inventori. Gli Oled blu, brillanti come il cielo di Napoli, sono stati presentati alla Conferenza internazionale dell’elettronica stampata di Monaco e hanno suscitato parecchio interesse.
Sottili, leggeri, flessibili, gli Oled (Organic Light Emitting Diode) rappresentano il futuro dell’illuminazione a basso impatto ambientale, con ottime potenzialità soprattutto nel settore dei display piatti. “Ma c’è ancora molto lavoro da fare per renderli competitivi a livello commerciale”, spiega Carla Minarini, responsabile del Laboratorio Nano dell’Enea. I due problemi fondamentali da risolvere sono le prestazioni limitate e la vita breve. D’altro canto, però, gli Oled hanno caratteristiche molto attraenti per chi si occupa d’illuminazione. Sono delle giunzioni sottilissime, per cui lo spessore dell’Oled si confonde con quello del substrato, che può anche essere flessibile o curvo, contrariamente ai loro cugini inorganici.
I led tradizionali sono composti da materiali costosi e tossici, come l’arseniuro di gallio o il nitruro di gallio, mentre gli Oled sono a base di materiali organici, derivati dal carbonio, molto comuni e non inquinanti. Questi materiali si possono elaborare a temperatura ambiente e si possono spalmare quasi come un inchiostro, usando una macchina di stampa, anche su vaste superfici. Tutte tecniche low-cost, contro i costosi sistemi di produzione ad alto vuoto e ad altissime temperature dei led tradizionali, che per di più possono essere soltanto puntiformi e quando illuminano sprigionano calore, anche se meno delle lampadine a incandescenza. In pratica, gli Oled sono molto meno energivori e meno inquinanti, sia durante la produzione che in fase di utilizzo.
“Alla lunga, queste caratteristiche degli Oled li renderanno più competitivi rispetto ai led tradizionali, ma al momento attuale fanno una luce troppo fioca e si degradano rapidamente. Potremo cominciare a vederli in giro solo se riusciremo a vincere le due sfide di aumentarne le prestazioni e allungarne la vita”, precisa Minarini. Già adesso, comunque, gli Oled del Laboratorio Nano sono utilizzati per progetti potenzialmente commerciali, come nelle colture di vegetali indoor o nel vasto ambito delle segnalazioni. “In base a diversi studi, ad esempio, si è scoperto che illuminando il vano verdure del frigo si migliora la loro conservazione e questo potrebbe essere un ruolo molto adatto per gli Oled”, fa notare Minarini.
Il laboratorio è impegnato da oltre dieci anni su questi temi, con risultati molto positivi, che ne hanno fatto un importante riferimento italiano del settore, come testimoniano i diversi progetti nazionali ed europei in cui è inserito. ReLight e Smartags, ad esempio, sono due progetti in collaborazione fra pubblico e privati, da 15 milioni di euro, finanziati in parte dal Miur ma anche da una serie di imprese, come Btp-Tecno, Fos, Sesmat e Aet, interessate ad approfondire le proprie competenze nell’ambito dell’elettronica organica.
Bassi costi, basse temperature e basso impatto ambientale fanno degli Oled una nuova frontiera così promettente da aver attirato investimenti per circa 5 miliardi di dollari a livello mondiale. Con il Laboratorio Nano di Portici l’Italia contribuisce a rendere il blu degli Oled più brillante.