Prospettive all’idrogeno

Mirai vuol dire futuro, in giapponese. Toyota ha appena aperto le vendite in Europa della sua prima berlina a idrogeno, già in commercio in Giappone e negli Stati Uniti. O meglio, le ha aperte in Germania (66mila euro più tasse), Danimarca e Regno Unito, dove le autorità hanno promesso di realizzare, in tutto, 80 stazioni di rifornimento. Con ciò rinasce un vettore energetico che sembrava defunto, dopo la morte della Bmw7 a idrogeno, un’ibrida uscita nel 2006 e poi abbandonata, per mancanza di stazioni di rifornimento. La Mirai, però, a differenza della Bmw, utilizza la tecnologia delle pile a combustibile che producono energia elettrica, quindi è un’auto elettrica a tutti gli effetti, mentre la Hydrogen 7 bruciava l’idrogeno in un motore a combustione interna. E Toyota non sarà l’unica a utilizzare questa tecnologia. La rinascita dell’idrogeno è confermata dalla discesa in campo di Honda, che presenterà al Salone di Tokio, a fine ottobre, un’altro modello alimentato a idrogeno, pensato per la prima volta per la produzione in serie. Hyundai arriverà a seguire.

Risorge, così, l’auto che va ad acqua. Efficiente, silenziosa, pulita, senza emissioni come tutte le auto elettriche, l’auto a idrogeno ha tutti i vantaggi. L’idrogeno (sotto forma di gas ad alta pressione o liquefatto) ha una densità energetica analoga a quella dei combustibili fossili e diventa un vettore energetico perfetto per alimentare la pila a combustibile, che è simile a una batteria, ma produce elettricità con l’immissione di un reagente esterno. Nel caso dell’idrogeno, l’efficienza è superiore al 60% (contro un 20-25% dell’utilizzo convenzionale dei combustibili fossili in un motore a combustione interna) e l’unico scarto è l’acqua prodotta dall’ossigeno e gli ioni di idrogeno residui. Nella Mirai, l’idrogeno è compresso a 700 bar e stoccato in due serbatoi posteriori in plastica rinforzata con fibra di carbonio, per un totale di 5 chili sufficienti, secondo Toyota, a garantire un’autonomia di 500 chilometri, quindi un chilo di idrogeno basta per 100 chilometri.

L’inglese Intelligent Energy, che ha appena lanciato un prototipo di iPhone 6 operativo per una settimana con una ricarica, è considerata la più all’avanguardia nella tecnologia delle celle a combustibile. E dalla sua partnership con Suzuki stanno uscendo anche delle moto alimentate a idrogeno.

Restano però una serie di ostacoli lungo tutta la filiera dell’idrogeno, per renderlo veramente adatto a una diffusione di massa. Innanzitutto è problematico produrlo: oggi la gran parte dell’idrogeno non si ottiene tramite la pulitissima ma energivora elettrolisi dell’acqua, bensì per sintesi a partire dal metano, mentre l’ideale sarebbe produrlo con energia che viene da fonti rinnovabili o da fonti a basse emissioni di anidride carbonica, ma in questo caso la conversione dell’energia elettrica in idrogeno dovrebbe avere un rendimento ragionevole. Oltre a questo, c’è il problema del trasporto: oggi non ci sono infrastrutture, per cui si usano camion, con la conseguente produzione di emissioni e inquinamento. Se in futuro si volesse utilizzarlo in maniera diffusa, servirebbero dei gasdotti dedicati. Ma il cane, come sempre si morde la coda. Finché non c’è mercato, non ci sono di conseguenza investimenti nella filiera dell’idrogeno.

D’altra parte i vantaggi dell’idrogeno come vettore energetico sono tali da portare l’International Energy Agency a spingere molto per il suo utilizzo diffuso: “Ci sono voluti 60 anni dalla prima produzione commerciale di petrolio per fargli ottenere il 10% del mercato dell’energia primaria e poi altri due decenni per raggiungere il 30%”, sostiene la Iea nel suo ultimo rapporto. Con una politica mirata, l’utilizzo di auto elettriche alimentate a idrogeno, secondo la Iea, potrebbe diventare competitivo con le auto convenzionali nel giro di vent’anni.