Entrare dentro il climate change

Il kayak è giallo. Ne vediamo solo la prua, come se fossimo noi lì a pagaiare. L’interno della grotta è azzurrino, ma le pareti sono bianche e lucide, stillano gocce che cadono incessantemente, risvegliando mille echi. Qui sotto ci sentiamo protetti, come nel ventre di una montagna, ma in effetti siamo al centro di un dramma. Presto questa grotta crollerà e la magia della natura sarà inghiottita per sempre dal riscaldamento del clima.

Per molta gente, l’effetto serra è solo una linea su un grafico o un titolo di giornale. L’immagine intravista in tv di un ghiacciaio millenario che si scioglie da sotto e crolla pezzo per pezzo, è difficile da percepire come un dramma personale. Altra cosa è entrarci dentro. Osservarlo da tutte le angolature, ruotando il cellulare attorno a sé come una finestra sulla realtà. E’ bellissima, questa caverna di ghiaccio, ma non durerà molto, perché il Byron Glacier, vicino ad Anchorage, sotto cui ci troviamo, si sta sciogliendo e presto non ci sarà più. Per coloro che non hanno la possibilità di andare fin lì a pagaiare di persona, questo video a 360 gradi, visibile in realtà virtuale su YouTube 360 o sui siti del Sierra Club, che l’ha commissionato, e di Ryot, che l’ha girato, è l’unico modo per toccare con mano l’ampiezza del disastro. E funziona. Entrare dentro un ghiacciaio che si scioglie è emozionante. Fa venir voglia di agire per fermare questo scempio.

E’ esattamente questo l’obiettivo di chi si serve della realtà virtuale per smuovere le coscienze degli scettici. Una tecnologia che fino ad oggi sembrava destinata solo a giocare, sta diventando uno strumento potente per risvegliare quell’empatia con i drammi del mondo, che spesso ci manca. “Per essere onesti, è anni che picchiamo la testa contro il muro, cercando di trovare un sistema per risvegliare l’attenzione della gente su questo e su altri problemi”, racconta Molly Swenson, direttrice operativa di Ryot, la prima casa di produzione di video in realtà virtuale specializzata nelle campagne di sensibilizzazione dell’opinione pubblica su temi scottanti. “C’è in giro una deplorevole incapacità di mettersi in relazione con i drammi dell’umanità, se non accadono fuori dalla porta di casa”, commenta Swenson. “Utilizzando la realtà virtuale, diventa più immediato il contatto dello spettatore con le storie che raccontiamo”, spiega. “In questo modo si può entrare direttamente dentro la storia, invece di sentirla raccontare da qualcun altro”.

Ryot è stata fondata tre anni fa da due videomaker, Bryn Mooser e David Darg, che si sono conosciuti a Haiti, durante l’intervento umanitario dopo il terremoto del 2010. Convinti della necessità di scuotere le coscienze con tutti i mezzi tecnologici a disposizione dei media, nell’ultimo anno Mooser e Darg si sono dedicati a esplorare le potenzialità della realtà virtuale con una serie di documentari su problemi d’attualità, dalla guerra in Siria alla crisi dei rifugiati, dal terremoto in Nepal alle discriminazioni di genere. “La realtà virtuale è la tecnologia più eccitante che abbiamo mai sperimentato: riesce a mettere le persone esattamente nei panni di qualcun altro, in modo da poter vedere attraverso i suoi occhi e sperimentare la devastazione che lo circonda”, spiega Mooser. “E’ molto difficile mostrare la portata di un disastro attraverso la fotografia tradizionale o anche attraverso il cinema. La realtà virtuale sta cambiando completamente il nostro modo di trasmettere all’opinione pubblica le immagini delle calamità naturali e delle crisi umanitarie”.

Ryot non è l’unica casa di produzione convinta del salto di qualità portato dalla realtà virtuale alla comunicazione: Chris Milk è partito da una riflessione simile quando ha girato il suo film in realtà virtuale sulla Millions March, il movimento che ha portato in piazza l’anno scorso centinaia di migliaia di americani, per protestare contro l’uccisione di neri disarmati da parte della polizia. “Riuscire a trasportare le persone sul posto dà loro non solo un’idea migliore di quel che è successo, ma consente di sviluppare una maggiore empatia e una più profonda connessione emotiva con chi era lì di persona”, ha spiegato Milk all’uscita del film. “E’ questo il vero motivo per cui la realtà virtuale potrebbe cambiare il modo in cui lavorano i reporter nelle zone di crisi”.

Ma Ryot non vuole solo che gli spettatori si sentano più solidali con le persone che stanno osservando. Mooser è convinto che la realtà virtuale avrà colpito nel segno solo quando riuscirà a spingere gli spettatori all’azione. “La realtà virtuale è stata chiamata la macchina dell’empatia. Ma l’empatia non mi basta. Voglio stimolare quello che viene dopo l’empatia, cioè l’azione”, sostiene. Ecco perchè tutti i filmati di Ryot sono sempre accompagnati da un link, intitiolato “entra in azione”. Da lì lo spettatore può mettersi in contatto con le associazioni che lavorano in loco, per unirsi a loro o mandare un finanziamento. Le campagne ambientaliste rientrano perfettamente in questo target e infatti negli ultimi mesi Ryot si è occupato più volte di temi ambientali, dal clima alla difesa degli animali, dai danni del fracking alla deforestazione. Con l’avanzata della realtà virtuale, rimanere scettici sarà sempre più difficile.