L’incertezza condiziona l’Italia

L’Italia è tornata a giocare “un ruolo marginale” nello sviluppo delle fonti rinnovabili, “dopo aver toccato il suo record nel 2011”, quando era diventata il secondo mercato mondiale delle fonti verdi. Questa è la sentenza lapidaria contenuta nella seconda edizione del Renewable Energy Report dell’Energy & Strategy Group del Politecnico di Milano, guidato da Vittorio Chiesa, divenuto l’appuntamento saliente per il mondo italiano dell’energia pulita.

Mentre nel resto del mondo l’energia pulita correva, nel 2015 le nuove installazioni italiane di impianti verdi si sono fermate a 890 megawatt di potenza e gli investimenti non hanno superato i 2 miliardi di euro, rispetto ai 12 miliardi dell’anno d’oro, il 2011. Il motivo di fondo di questa poderosa frenata è chiaramente “l’incertezza normativa”, spiega Vittorio Chiesa, direttore del gruppo di ricerca. Chiesa si riferisce ai vari provvedimenti varati da questo governo per ridurre il peso degli incentivi sulle bollette, in parte con effetti retroattivi, come il famigerato “spalma-incentivi” introdotto con il decreto Competitività. Ma anche alle nuove tariffe elettriche, che dal 1° gennaio 2016 sono già una realtà per gli utenti domestici e che penalizzano l’autoconsumo, “di fatto mettendo in difficoltà la figura del prosumer”, precisa Chiesa.

Il fotovoltaico è stato il comparto più danneggiato dalle modifiche che nell’ultimo biennio hanno interessato i sistemi di incentivazione, con appena 290 megawatt di nuove installazioni, “in contrazione di circa il 25% rispetto all’anno precedente”, un balzo indietro che lo ha riportato a livelli inferiori addirittura a quelli del 2008, con la perdita di migliaia di posti di lavoro. L’incertezza normativa ha fatto fuggire gli investitori stranieri dall’Italia e anche quelli che sono rimasti, come la britannica Terra Firma, numero uno del fotovoltaico italiano con oltre 300 megawatt di potenza acquisiti nel tempo da operatori di primario standing come Terna, Sorgenia, Acea o Edf Energies Nouvelles, s’interrogano sul da farsi. Da qualche mese, infatti, oltre al crescendo di decreti penalizzanti, si registra una marcata campagna del Gestore dei Servizi Energetici, guidato da Francesco Sperandini, per stringere i cordoni della borsa tramite controlli sempre più dettagliati.

Nel 2015 il Gse ha condotto 3.464 accertamenti su impianti incentivati, per 5.320 megawatt di potenza e in 504 casi sono state accertate irregolarità, per 106,6 milioni di euro di incentivi già percepiti, che dovranno ritornare nelle casse dello Gestore. Quest’anno gli ispettori del Gse sembrano decisi a recuperare ancora di più. Segnalazioni di incentivi revocati a interi impianti da 2 o 3 megawatt, anche per un pannello spostato di pochi centimetri, hanno fatto nascere il sospetto fra gli operatori di un’azione mirata a recuperare il più possibile, prima della sentenza della Corte Costituzionale, che il prossimo dicembre con tutta probabilità riconoscerà l’illegittimità del taglio retroattivo operato con il decreto “spalma-incentivi”.

L’udienza è stata già fissata e il decreto in questione rischia di finire come quello sulla Robin Tax, bocciato dalla Consulta dopo il ricorso delle imprese energetiche. Tra i vari aspetti contestati dagli operatori del fotovoltaico, la norma infatti opererebbe “un’illogica riduzione degli incentivi riconosciuti a investimenti già effettuati, aventi costi fissi e costanti” e quindi lederebbe la libertà d’impresa tutelata dall’art. 41 della Costituzione. Se la Consulta riconoscerà come incostituzionale la norma, ci saranno due anni d’incentivi tagliati da restituire alle imprese proprietarie dei pannelli, a meno che la Corte non moduli la retroattività stabilendo che gli effetti della sentenza valgano solo per il futuro, come ha già fatto per la Robin Tax, con l’inedita motivazione che “l’impatto macroeconomico delle restituzioni dei versamenti tributari determinerebbe uno squilibrio nel bilancio dello Stato”. In ogni caso, se nel frattempo gli impianti saranno giudicati irregolari e gli incentivi saranno tagliati a monte, il bilancio pubblico sarà salvo. Quello degli investitori molto meno.