Il biofuel nascerà dal batterio

Dal batterio al biocarburante, il passo è breve. Ne sono convinti i campioni della bioingegneria, come Amyris e LS9, due startup che hanno puntato nella stessa direzione: sviluppare un microrganismo capace di trasformare in biocarburante tutto quello che mangia, che siano scarti agricoli o residui industriali.

Amyris, la più avanzata, produce biodiesel da uno stabilimento a Emeryville, in California, e ne sta aprendo un altro in Brasile. Fondata da Jay Keasling, professore di biologia sintetica a Berkeley, ha raccolto 120 milioni di dollari di finanziamento sia dal venture capital, come Khosla Ventures, che da colossi del settore come Total. LS9, un’azienda fondata a San Francisco da George Church, professore di genetica a Harvard, è stata appena acquisita per 40 milioni da Renewable Energy Group. Altre, come Solazyme o Synthetic Genomics, lavorano con le alghe. Synthetic Genomics, fondata a La Jolla da Craig Venter, noto per essere riuscito a battere sul tempo, negli anni Novanta, un esercito di scienziati governativi impegnati nella prima mappatura del genoma umano, è stata finanziata con 600 milioni da ExxonMobil per arrivare all’industrializzazione del suo processo di produzione di biodiesel da alghe e batteri modificati. Ora si dice pronta alla produzione su vasta scala.

In teoria, qualsiasi batterio, opportunamente riprogrammato, può diventare una raffineria vivente, capace di portare a termine complesse reazioni chimiche, che le fabbriche costruite dall’uomo imitano in maniera molto meno efficiente. Ecco perché i biologi sintetici ottengono finanziamenti: i loro carburanti, quando arriveranno sul mercato, promettono di essere competitivi quanto i carburanti ottenuti dal petrolio e molto più puliti. Ma i biocarburanti che non fanno concorrenza alle colture alimentari non si ottengono soltanto dalla biologia sintetica. A Crescentino, nel Vercellese, è operativa già dall’anno scorso Beta Renewables, una joint venture da 250 milioni di euro fra l’italiana Chemtex di Mossi & Ghisolfi e il fondo americano Texas Pacific Group, con il più grande stabilimento produttivo del mondo di bioetanolo di seconda generazione, che produce biocarburante partendo dalla canna dei fossi. Beta Renewables è l’unica startup italiana citata nella lista delle 100 imprese nascenti più innovative di Global CleanTech.

L’olandese Avantium, nata da uno spinout da Shell, punta decisa verso la plastica verde tramite catalisti avanzati, mentre la canadese Enerkem trasforma i rifiuti in biocarburanti attraverso una tecnologia termochimica e la finlandese MelGen produce enzimi per questo tipo di trasformazioni.

Il legame di tutto il comparto dei biocarburanti con un settore in grande trasformazione come l’agricoltura, considerata la nuova chiave di volta per un futuro sostenibile, li rende particolarmente interessanti. Non a caso in quest’area sono ben rappresentati anche Paesi emergenti, come ad esempio la peruviana Pure Biofuels, che produce biocarburanti da colture non alimentari, o l’israeliana Kaiima, che si è specializzata nella selezione di piante ad alto rendimento, adatte per la produzione di biocarburanti, senza utilizzare l’ingegneria genetica. Con la gestione dei rifiuti e la depurazione dell’acqua, la nuova agricoltura e i biocarburanti saranno i settori più sensibili allo spostamento verso i Paesi emergenti del baricentro dell’innovazione al servizio dello sviluppo sostenibile.

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