E’ stata un’annata proficua per Crésio Antônio de Oliveira, 41 anni, coltivatore di caffè a Muzambinho, nello Stato brasiliano di Minas Gerais, non lontano da San Paolo. Là dove si estendevano pascoli a perdita d’occhio si è allargata la sua piantagione di caffè, arrivando a 20 ettari, e si prospetta un buon raccolto. Suo padre non aveva che tre ettari coltivati a caffè e passavano sette anni dalla messa in terra delle piante al primo raccolto, mentre oggi ne bastano due.
Con l’aiuto della chimica e delle nuove tecnologie, la produzione per ettaro da allora ad oggi è raddoppiata e la fatica è diminuita. Le case sono più belle e i figli vanno all’università. “L’agricoltura è uno sparo nel buio”, diceva suo padre. Ora non è più così. Crésio preleva ogni anno un campione di terreno e lo porta all’istituto di analisi di Cooxupé, la più grande cooperativa del mondo di coltivazione del caffè, di cui è socio. Lì il campione viene analizzato e dal responso dipende la ricetta per il suo campo.
Quest’anno ha fatto cinque applicazioni, due di fertilizzante, due di pesticidi per le piante e una di fungicida per il terreno. In questo modo ha cercato di prevenire gli attacchi di una natura esuberante, ma spesso letale per le coltivazioni. Grazie alla precisione della ricetta, l’utilizzo di fertilizzanti è diminuito negli ultimi anni, ma il raccolto ha continuato ad aumentare.
In un decennio la produzione brasiliana di caffè è cresciuta di un terzo, da 14 a 20 sacchi in media per ettaro, portando il Brasile a coprire il 32% del mercato mondiale del caffè (secondo produttore è il Vietnam con il 19% del mercato, terza la Colombia con il 9%), senza ampliare in maniera significativa la superficie coltivata. La maggior parte di questa produzione è arabica, con una nicchia di robusta concentrata nel Nord-Ovest del Paese. Il 15% del caffè brasiliano viene da Cooxupé, la cooperativa di Guaxupé, che è leader mondiale di mercato nella produzione di arabica. Con oltre 13mila soci e 2300 collaboratori distribuiti in duecento comunità, Cooxupé in 60 anni di attività è diventata un punto di riferimento mondiale per il settore e l’anno scorso ha prodotto oltre sei milioni di sacchi, di cui quasi quattro esportati in 49 Paesi. Oltre l’80% dei membri ha una produzione familiare e la cooperativa è per loro un punto d’appoggio insostituibile, sia sul piano della coltivazione che della lavorazione e della vendita del prodotto.
Cooxupé punta al miglioramento continuo e mette a disposizione dei soci tecnologie avanzate nei campi, corsi di formazione e un programma studiato ad hoc da Basf, AgBalance, per ridurre al minimo i consumi di acqua e di territorio, l’inquinamento del terreno e le emissioni climalteranti, mantenendo al tempo stesso in equilibrio i costi e i ricavi dei lavoratori nelle diverse aree di produzione. “Cooxupé applica le migliori pratiche per garantire a tutti uno sviluppo sostenibile”, ricorda il presidente Carlos Paulino, presidente della cooperativa dall’inequivocabile origine italiana. Non a caso i suoi soci hanno raccolti sensibilmente più alti dei vicini: nel Minas la media è di 25 sacchi (da 60 chili) per ettaro, mentre i soci di Cooxupé nel 2016 sono arrivati a 31 sacchi per ettaro.
“La chiave della sostenibilità risiede dalla nostra abilità di innovare e stringere alleanze lungo tutta la catena del valore, dai campi fino al porto d’imbarco”, sostiene Eduardo Leduc, vice presidente Basf e responsabile della protezione dei raccolti in America Latina, che ha il suo principale centro di ricerca per lo sviluppo di nuove molecole nella stazione sperimentale di Santo Antonio de Posse, vicino a San Paolo. Per Basf, che ha 4.200 dipendenti qui, il Brasile sarà il mercato centrale per sfamare un’umanità a dieci miliardi di individui, grazie allo sviluppo di un’agricoltura di precisione e ad alto rendimento, dato che in un Paese tropicale si possono ottenere più di due raccolti all’anno, oltre il doppio degli altri grandi centri agricoli.
Il sostegno di Cooxupé alla produzione dei suoi soci non si ferma ai campi. La cooperativa offre servizi di stoccaggio per i coltivatori che non hanno spazio per immagazzinare il raccolto e l’impianto di lavorazione del caffè più grande del mondo, che trasforma le bacche rosse raccolte sulle piante nei fragranti chicchi marrone pronti per essere macinati al bar. Cooxupé ha poi un sofisticato centro specializzato nella classificazione dei chicchi, per attribuire ad ogni raccolto il giusto valore, dalla qualità più basica ai caffè più elaborati, che rispondono a parametri esigenti di certificatori come AAA Nespresso, Cafe Practices di Starbucks o Rainforest Alliance. E ha un servizio di trading, che negozia sui mercati internazionali per spuntare il prezzo migliore. I soci sono liberi di vendere a quel prezzo o di andare a negoziare direttamente con il cliente finale, ma quasi tutti preferiscono vendere attraverso la cooperativa.
La modernizzazione di questa seconda fase ha portato a sua volta enormi progressi sul piano della sostenibilità: solo grazie al nuovo impianto di lavorazione e alla sostituzione dei sacchi di juta con la carta e poi con contenitori molto più grandi, nel giro di sette anni sono stati tagliati i consumi energetici di oltre 20 kilowattora per ogni sacco: una riduzione complessiva equivalente ai consumi elettrici di oltre 55mila famiglie all’anno.
Meccanizzazione, geolocalizzazione, agricoltura di precisione, tracciabilità, nuove molecole fanno parte di questo sforzo per l’innovazione e contribuiscono insieme alla sostenibilità ambientale e sociale di questa grande impresa collettiva.