Riciclo infinito da design rigenerativo

Mattoni che si coltivano come piante, materiali isolanti derivati dai funghi, mobili di cartone, detergenti naturali. La nuova rivoluzione industriale del design rigenerativo lascia il petrolio fuori dalla porta delle nostre case, lontano dalla nostra pelle e dai nostri polmoni, con il doppio vantaggio di vivere più sani e di tagliare radicalmente le emissioni nei processi di produzione. Questi prodotti, nati in maniera naturale, si possono eternamente riciclare. «Riciclare sempre gli stessi materiali sarà l’unico modo, alla lunga, per difenderci dall’esaurimento delle risorse», sostiene Michael Braungart, il guru tedesco della progettazione rigenerativa, conosciuta come C2C o Cradle to Cradle, dalla culla alla culla. Il modello produttivo tradizionale attinge risorse, crea prodotti e scarta rifiuti, inquinando. Il nuovo modello progetta i prodotti sulla base di cicli di vita chiusi, non dannosi per la salute umana e l’ambiente, valorizzando le componenti che possono essere riutilizzate in modo perpetuo. E vince nella battaglia per la competitività.
Come nel caso di BioMason, il bio-mattone che si sviluppa dalla sabbia con un processo analogo a quello delle conchiglie, riducendo quasi a zero le emissioni di uno dei processi più energivori del mondo. O come Ecovative, l’isolante naturale a base di rifiuti agricoli trasformati dai funghi. Insieme a Ecor, il pannello sostenibile a base di cellulosa con cui si può costruire di tutto, dai mobili alle case, questi campioni della bio-edilizia hanno vinto il Cradle to Cradle Product Innovation Challenge, un concorso internazionale aperto a tutti i produttori idonei alla certificazione C2C, che mette in palio un premio di 250mila dollari complessivi, per aiutarli a svilupparsi. Da questi tre esempi risulta subito chiaro lo spirito del design rigenerativo, che ha poco a che fare con gli altri tipi di eco-label comunemente in circolazione. «La valutazione ambientale di un prodotto è molto importante, ma in generale esamina il passato, mentre noi abbiamo cercato di creare un kit di strumenti innovativi, per costruire i prodotti del futuro», precisa Braungart.
Applicando questo modello, l’industria manifatturiera globale potrebbe convertire istantaneamente la sua impronta ambientale da negativa in positiva. Ma dovrebbe ribaltare completamente i modelli di produzione attuale, perché ogni prodotto andrebbe progettato a ritroso, partendo dal suo disassemblaggio. Nella visione rigenerativa, infatti, la produzione industriale va iscritta al più presto nell’eterno girotondo della vita, dove niente muore mai e tutto rinasce continuamente. L’obiettivo di Braungart non è ridurre la nostra impronta ambientale, ma trasformarla da negativa in positiva. L’uomo deve migliorare il mondo con la sua opera, non peggiorarlo. L’idea di “coltivare” i mattoni dalla sabbia come fa Ginger Krieg Dosier con il suo BioMason, aggiungendo cloruro di calcio, batteri e urea, invece di cuocerli nei forni con i metodi tradizionali, è un esempio tipico di questa impostazione. I mattoni sono utilizzati nell’80 per cento delle costruzioni: 1.230 miliardi di mattoni vengono fabbricati ogni anno nel mondo, con un’emissione complessiva di 800 milioni di tonnellate di anidride carbonica. Passando ai bio-mattoni, il mondo sarebbe decisamente più pulito.
Le sostanze tossiche, oggi usate a piene mani nel manifatturiero, sono il problema principale da risolvere nei processi industriali che Braungart cerca di rivoluzionare. Chi entra nell’ottica della produzione rigenerativa, deve eliminarne il più possibile. Poi bisogna organizzare la catena distributiva in modo che i prodotti possano ritornare all’origine. Il resto è banale: i materiali sintetici hanno vita lunga e quindi possono essere riutilizzati molte volte nella produzione dello stesso prodotto, senza rovinarsi. I materiali organici, invece, si degradano rapidamente, ma proprio perché appartengono al ciclo della vita, possono ritornare rapidamente alla terra. La certificazione C2C viene concessa alla fine di una riorganizzazione molto approfondita, in cui l’azienda si rende disponibile a mettere radicalmente in discussione i propri processi industriali e quelli di tutti i fornitori.
In questo modo, si va davvero dalla culla alla culla e non più dalla culla alla tomba come nell’approccio corrente, in cui i materiali vengono estratti, poi trasformati in prodotti e infine gettati via. L’obiettivo, alla lunga, è una società a rifiuti zero. L’operazione di Braungart e William McDonough, i due fondatori del modello e del Cradle to Cradle Products Innovation Institute, va ben al di là di un superficiale greenwashing e infatti non mancano i critici, che li considerano dei pericolosi talebani. Sul fronte opposto, però, ci sono colossi dei prodotti di consumo, da Dow Chemical a Nestlé, che rimettendosi in discussione hanno trovato soluzioni molto più soddisfacenti, economiche e pulite di quelle da cui partivano. Per questo Braungart la chiama seconda rivoluzione industriale.
Una rivoluzione che potrebbe portarci molto lontano da dove siamo oggi, in un mondo dove la produzione non inquina, ma anzi fa bene all’ambiente.

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