Idroelettrico vicino al record mondiale

Quando si parla di fonti rinnovabili, si pensa soprattutto al sole e al vento, anche se in realtà la fonte più produttiva e più stabile è da sempre l’acqua. In Italia, l’idroelettrico quest’anno ha coperto il 20% della domanda elettrica nazionale, contro l’8% del fotovoltaico e il 5% dell’eolico. Ma le grandi opere di sbarramento idrico nel mondo industrializzato non si realizzano quasi più, per i noti problemi sociali e politici causati dalle dighe, e quindi di idroelettrico si parla poco. Non così nel resto del mondo. A ben guardare, in realtà, l’idroelettrico si avvia verso un boom senza precedenti, concentrato nei Paesi emergenti. Lo annuncia uno studio di Christiane Zarfl e Alexander Lumsdon del Leibniz Institute of Freshwater Ecology di Berlino, in base al quale sarebbero in via di realizzazione ben 3.700 grandi dighe al di sopra di un megawatt di potenza, di cui 629 già cantierate. Se tutti questi progetti arriveranno a realizzazione, da qui al 2030 la potenza idroelettrica globale crescerà del 73%, dai 980 gigawatt attuali a 1.700 gigawatt, il balzo più grande mai compiuto in un lasso di tempo così breve da questa fonte di elettricità utilizzata fin dagli esordi della rivoluzione industriale, la cui crescita sembrava quasi esaurita.

Le nuove dighe sono concentrate soprattutto nel Sud Est asiatico, in America Latina e in Africa, ma non mancano progetti più vicini a noi, nei Balcani e in Turchia. Alcuni di questi impianti sono veramente poderosi, con una potenza che supera i 10 gigawatt, di cui due già in costruzione: la diga cinese di Xiluodu (13,8 GW) e quella brasiliana di Xingu (11,2 GW). L’impianto più impressionante è però quello progettato in Tibet, nel gigantesco canyon di 400 chilometri scavato fra le montagne dell’Himalaya dal fiume Yarlung Tsangpo, il Brahamputra degli indiani. Mettendo in comunicazione con un tunnel sotterraneo due tratti del fiume separati da 2800 metri di dislivello, i tecnici cinesi prevedono di realizzare una centrale da 50 gigawatt, in grado di produrre 300 terawattora di energia elettrica all’anno, equivalenti al fabbisogno elettrico complessivo di un Paese come l’Italia. Il progetto Grand Inga, nel bacino del Congo, sarà quasi altrettanto impressionante: con 80 miliardi di dollari d’investimenti da parte della World Bank e della Banca Europea per gli Investimenti, si vuole realizzare una serie di dighe e centrali per un totale di 40 gigawatt di potenza, in grado di aumentare del 30% l’attuale produzione elettrica africana.

In totale i 3.700 nuovi impianti farebbero quasi raddoppiare la produzione idroelettrica mondiale, dai 3.500 terawattora attuali a 6mila, portando lo sfruttamento del potenziale idroelettrico globale dal 22 al 39% e fornendo energia rinnovabile e a buon mercato a molti Paesi dove si concentra una gran parte degli 1,4 miliardi di persone ancora privi di energia elettrica. Solo con uno sforzo costruttivo così imponente, notano gli autori, l’idroelettrico potrà mantenere la sua importante posizione, oggi al 16%, nel mix elettrico mondiale. Considerato il grande aumento futuro di consumi energetici globali, previsto dall’International Energy Agency, se si costruiranno questi nuovi impianti, l’idroelettrico salirà al 18% del totale. Se invece non si muoverà nulla, il suo contributo scenderà al 12%, in un processo analogo a quello accaduto all’Italia negli ultimi cinquant’anni, in cui la quota dell’idroelettrico è crollata dall’80 al 20% del fabbisogno nazionale.

Tutta questa smania costruttiva rappresenta, quindi, un positivo passo avanti verso un sistema energetico mondiale a basse emissioni, se non fosse che l’energia idroelettrica su grande scala ha numerosi lati oscuri. Le 3.700 nuove dighe ridurranno ulteriormente il numero ormai esiguo di grandi sistemi fluviali rimasti senza sbarramenti, che oggi sono 120 e scenderebbero a 95. Sbarrare i fiumi vuol dire danneggiarne l’intero ecosistema fluviale, impedendo il movimento della fauna acquatica e alterando il flusso delle piene, spesso benefico per l’ambiente intorno al fiume. Il tutto in aree di particolare importanza ecologica, come l’Amazzonia, il Congo, il Mekong, che contengono da soli il 18% di tutte le specie di pesci di fiume del mondo, o i Balcani, che sono la più importante area di fauna d’acqua dolce d’Europa.