La singularity dell’energia

E’difficile fare previsioni, soprattutto in relazione al futuro, diceva una star del baseball, Yogi Berra. Ma ci sono buoni motivi per essere ottimisti sul futuro dell’energia solare. Prima di tutto perché dal sole arriva sulla superficie terrestre, ogni secondo, una quantità di energia pari a 90.000 terawatt (depurata da quella assorbita dall’atmosfera terrestre), mentre gli esseri umani oggi ne consumano “appena” 17 terawatt al secondo, cioè 5mila volte di meno. E già questo ci tranquillizza. E’ chiaro che se la scienza fosse in grado di catturare tutta questa energia, l’umanità avrebbe risolto qualsiasi problema di approvvigionamento e potrebbe tranquillamente arrivare a 9, 10 o 11 miliardi di individui, raddoppiando o triplicando il suo fabbisogno energetico, senza timore di dare fondo alle risorse del pianeta o di mandarlo a fuoco.

Al momento attuale, però, siamo in grado di convertire in elettricità, per motivi diversi, solo una piccola parte di questa energia, appena il 20% di quella che si posa su una data superficie, sia con il fotovoltaico che con il termodinamico a concentrazione. E per di più i sistemi di conversione dell’energia solare sono ancora piuttosto cari, rispetto ai combustibili fossili. Proprio per questa ragione, invece di attingere all’enorme serbatoio di energia che le viene rovesciato tutti i giorni sulla testa, l’umanità preferisce ancora andare a cercarsi sottoterra le risorse, sporche e inquinanti, che le servono per alimentare le sue macchine, causando l’effetto serra e gli altri danni che sappiamo. Ma la ruota gira e i costi delle celle fotovoltaiche si stanno comprimendo rapidamente, al punto tale da risultare già più competitive dell’energia comprata dalla rete elettrica in diversi Paesi, dal Cile al Marocco.

Questo salto è stato fatto in tempi molto brevi, grazie all’enorme miglioramento dell’efficienza di conversione nel fotovoltaico e al contemporaneo calo dei prezzi, che segue una curva analoga alla legge di Moore, chiamata nell’ambiente “legge di Swanson”, dal nome del fondatore di SunPower. In base a questa regola, il prezzo dei pannelli cala del 20% a ogni raddoppio delle vendite globali. In pratica, con 100 dollari nel 1980 si compravano solo 5 watt di capacità solare, mentre oggi con la stessa cifra se ne possono comprare 20 o 30 di più. E il trend continua. Nei prossimi 15 anni, in base alle previsioni dell’European Photovoltaic Technology Platform, i costi del solare scenderanno di un altro 50%. Per questo al 2030 il fotovoltaico sarà già ampiamente competitivo con l’energia della rete in tutta Europa, con costi di produzione di 20-25 euro a megawattora (la metà della media del prezzo italiano dell’energia in Borsa nel 2014) nei Paesi più assolati dell’Unione e di 50 euro a megawattora perfino nella piovosa Gran Bretagna. La competitività ovviamente alimenta la crescita, che in questi anni è esponenziale, e quindi i due fenomeni creano un circolo virtuoso.

Ma non basta. Per avere elettricità anche quando il sole non splende, l’energia va stoccata. E anche su questo fronte si osserva un trend esponenziale. Prendiamo una sola tecnologia, quella delle batterie agli ioni di litio: negli ultimi 15 anni la capacità di accumulo per ogni 100 dollari spesi è aumentata di 10 volte, tanto che ormai i sistemi di accumulo dell’energia solare stanno cominciando a entrare nell’uso domestico, come una caldaia o una lavatrice. I primi, marchiati Tesla, Panasonic o Mercedes, sono già in vendita e nel giro di pochi anni potrebbero portare molti privati a staccarsi dalla rete: con i pannelli sul tetto e la batteria in cantina, non si resta mai al buio.

Il punto entrale, anche qui, è l’aspetto economico: un sistema di pannelli e batteria è competitivo con l’energia comprata dalla rete? Al momento non ancora, ma si calcola che in Germania sarà competitivo nel giro di 4-5 anni. Le misurazioni di questo trend sono ancora poco sviluppate, ma uno studio pubblicato su Nature Climate Change giunge a una conclusione incoraggiante: i prezzi stanno calando più rapidamente di quanto si prevedesse. Stando alla media delle previsioni fatte negli ultimi 7 anni, infatti, gli accumuli agli ioni di litio dovevano costare 300 dollari al kilowattora a fine decennio, ma in realtà già l’anno scorso i produttori più grandi hanno raggiunto quel prezzo, che dovrebbe scendere a 230 dollari al kilowattora entro il 2018. Lo studio di Björn Nykvist e Måns Nilsson indica che dal 2007 al 2014 i prezzi sono calati del 14% l’anno, da oltre 1000 dollari al kilowattora a circa 410 dollari al kilowattora in media. E la produzione negli ultimi 4 anni è sempre cresciuta di oltre il 100% all’anno. Di conseguenza la curva di apprendimento, cioè il calo dei prezzi a ogni raddoppio della produzione, è tra il 6 e il 9%. Un ritmo che ci fa ben sperare anche per il futuro dell’auto elettrica.