Tutto parte da uno scatolone di sabbia, che può arrivare anche a 1600 gradi senza fondere. Lì dentro si concentra il calore del sole, riflesso due volte, prima verso l’alto da 800 specchi a terra e poi da un riflettore centrale posizionato a una trentina di metri d’altezza, che concentra i raggi sullo scatolone di sabbia. All’interno dell’accumulo ci sono gli scambiatori di calore per la produzione del vapore surriscaldato. Poi come ogni centrale elettrica basta aggiungere una turbina e un alternatore per generare corrente. La prima centrale Stem – acronimo di Solare Termodinamico Magaldi – è ormai operativa a San Filippo del Mela, a due passi da Milazzo, nel quadro della riconversione prevista da A2A della vecchia centrale termoelettrica da 960 megawatt, aperta nel 1971.
La nuova tecnologia per sfruttare l’energia del sole nasce da una collaborazione fra il Cnr, l’Università di Napoli e il gruppo salernitano Magaldi, leader mondiale nella movimentazione di materiali a caldo. “Proprio dalla nostra esperienza con il calore è nata l’idea di usare la sabbia di fiume come accumulo”, spiega Mario Magaldi, titolare dell’azienda che ha sviluppato la macchina ed è proprietaria dei relativi brevetti.
La tecnologia di Magaldi rappresenta un’applicazione ancora più pulita di una fonte energetica che è già sostenibile per definizione: il solare a concentrazione. Gli impianti solari termodinamici convertono l’energia solare in energia termica, sfruttando la concentrazione dei raggi tramite specchi su un ricevitore di dimensioni contenute. Le applicazioni di questo principio, nato ai tempi degli specchi ustori di Archimede, sono principalmente due: da un lato gli impianti a collettori parabolici lineari, con file di specchi che ruotano su un solo asse e riflettono la luce del sole su un tubo ricevitore posto nel fuoco del paraboloide (come Archimede di Enel, l’unico impianto a concentrazione operativo in Italia, vicino a Siracusa), dall’altro le centrali a torre, dove una distesa di specchi a terra riflette i raggi del sole su un ricevitore fisso, posto alla sommità di una torre al centro dell’impianto. In entrambi i casi, per l’accumulo di energia (contrariamente al fotovoltaico, il solare termodinamico può produrre anche di notte), di solito si utilizza un particolare olio minerale diatermico o i cosiddetti “sali fusi” di Rubbia. Entrambe le soluzioni, però, si avvalgono di elementi fortemente inquinanti. Un problema che è stato superato da Magaldi grazie all’impiego della sabbia.
Un altro vantaggio della centrale Magaldi è la dimensione. Stem è più simile agli impianti a torre centrale, ma utilizza la tecnologia innovativa “beam down”, che riflette i raggi del sole due volte, prima con degli specchi a terra, distribuiti intorno al ricevitore centrale, e poi con dei sistemi ottici posti sopra il ricevitore. Il modulo centrale non supera così i 30 metri d’altezza, su una superficie totale di 2,25 ettari, per una potenza di 500 kilowatt elettrici (o 2 megawatt termici). Niente a che fare con il gigantismo delle centrali a torre tradizionali, che possono arrivare anche a 140 metri d’altezza e a occupare oltre mille ettari. “Stem può essere utilizzato sia da solo, per soddisfare piccole comunità isolate, sia in un sistema modulare più grande, da 10-20 megawatt o più”, fa notare Magaldi, che ha già contatti con potenziali clienti in Australia. Nella Sun Belt del mondo la domanda di energia è in forte crescita e il solare termodinamico italiano potrebbe essere la risposta giusta.