Luce intelligente a base di dati

Dopo la smart city e la smart grid, anche la luce sta diventando intelligente. Con la rivoluzione dei Led, per illuminare non c’è più bisogno dell’incandescenza: grazie ai semiconduttori, possiamo tramettere fotoni come dati. La luce connessa entra così nel flusso dei big data e diventa un servizio digitale da fornire in maniera puntuale e mirata, per aiutare gli abitanti a navigare le città in piena autonomia, per indirizzarli alle vie d’uscita in casi di emergenza, per guidarli a destinazione nel labirinto delle strade, senza sprecare energia e senza inquinare la notte di bagliori inutili.
L’illuminazione oggi è un elemento essenziale degli spazi pubblici: ci sono circa 500 milioni di lampioni installati in tutto il mondo. Meno dell’1% di questi apparecchi, però, è collegato a un sistema digitale: «Con la digitalizzazione della luce, si apre un nuovo capitolo, che porterà i vecchi lampioni oltre l’illuminazione, con nuove funzioni intelligenti, per rendere le città più vivibili, più divertenti, più sicure, ma anche più sostenibili», prevede Kees van der Klauw, responsabile della ricerca di Philips Lighting ed esperto di smart cities.
La trasformazione è già in atto: se non altro per motivi di risparmio energetico, gli enti pubblici stanno riconvertendo a Led i loro sistemi di illuminazione. Ma questo è solo il primo passo. «Una digitalizzazione completa della rete consentirà il taglio delle spese di manutenzione, grazie all’auto-diagnosi dei singoli punti luce, e l’introduzione di una serie di funzionalità nuove», ragiona van der Klauw.
Già oggi si possono integrare nelle infrastrutture d’illuminazione dei sensori, per il rilevamento della qualità dell’aria. Si può fornire connettività per offrire Wifi pubblici nelle piazze o nei parchi. Si possono allacciare telecamere per la tele-gestione del traffico o la sorveglianza dei parcheggi. Si possono integrare le colonnine di ricarica per l’auto elettrica. Si può collaborare con l’operatore di rete per correggere gli sbilanciamenti tra domanda e offerta di energia. «Si può perfino interagire con le persone, per aiutarle a rintracciare l’auto o la bici rubata, attraverso un’app che accoglie i dati immessi dai cittadini e li confronta in tempo reale con le registrazioni delle telecamente», fa notare van der Klauw. Sono tutte tecnologie già esistenti, ma ancora poco diffuse, sia per motivi economici che di barriere normative correlate alla difesa della privacy.
Esempi pionieristici non mancano. A Los Angeles oltre 200mila lampioni sono connessi con il sistema CityTouch, che consente l’auto-diagnosi dei guasti e con una serie di sensori permette di aumentare l’intensità della luce quando passa qualcuno, per dare un senso di maggiore sicurezza. Sistemi analoghi sono impiegati in altre città in giro per il mondo, da Buenos Aires a Delft. Poi ci sono i progetti d’illuminazione intelligente dei monumenti, il recupero dei tunnel e dei ponti (da Tenerife a Milano), la luce connessa negli uffici e nei magazzini, nei musei e nei centri commerciali, negli aeroporti e negli ospedali, che si comanda con un’app senza più bisogno d’interruttori.
In questo grande cantiere globale, però, i pionieri della digitalizzazione della luce hanno bisogno del contributo dei cittadini. «Se vogliamo andare oltre l’illuminazione, le opportunità sono infinite e dobbiamo iniziare a sperimentarle con i cittadini stessi. Invece che chiuderci in laboratorio, vogliamo spostare il laboratorio per le strade della città e lavorare insieme con i sindaci, con le imprese e con i cittadini. Abbiamo bisogno di sperimentare, per scoprire quali sono le pratiche utili e quelle inutili, cosa sarebbe opportuno siviluppare di più, in quale direzione indirizzare la ricerca», spiega van der Klauw, che sta studiando una piattaforma ad hoc.
L’obiettivo è creare un’infrastruttura dove le persone possano sperimentare: «Potremo offrire a singoli cittadini o a gruppi o agli abitanti di una strada l’accesso ai dati e sviluppare con loro possibilità di usi interattivi, che cambiano a seconda delle situazioni, sia che si voglia illuminare la strada per una festa o renderla più sicura o portare maggiore comfort modificando i colori. Una piattaforma di questo tipo sarebbe molto importante per capire meglio le esigenze della gente».
Un ecosistema di open innovation, del resto, sarebbe utile per un confronto con i cittadini su tutti gli sviluppi della smart city e molte città si stanno già orientando in questa direzione, con piattaforme online di consultazione, come ad esempio quella del “bilancio partecipato” di Parigi (budgetparticipatif.paris.fr). I sistemi d’illuminazione intelligente, infatti, potrebbero svolgere il ruolo di spina dorsale per tutte le autostrade informatiche che percorreranno le città del futuro: da qui a una ventina d’anni i lampioni interconnessi potrebbero veicolare il flusso di dati fra migliaia di altri dispositivi, in una gigantesca rete di internet delle cose che abbraccerebbe la città intera, rendendo gli spazi pubblici interattivi. I sistemi d’illuminazione potrebbero, ad esempio, inviare dati di geolocalizzazione per aiutare i droni a navigare le strade e consegnare la posta. Potrebbero alimentare on-demand le luci a led utilizzate dalle fattorie urbane a seconda dei raccolti in corso e delle loro esigenze di illuminazione. Potrebbero sincronizzare con il tempo atmosferico l’illuminazione domestica, rendendola ancora più efficiente e sostenibile. È la luce 2.0, siamo solo all’inizio.