Riciclare rifiuti in cambio di premi. Creare un mercato online per il
lavoro creativo. Installare impianti fotovoltaici. Finanziare le
ricerche di giovani scienziati. Gli imprenditori sociali cavalcano
l'onda della democratizzazione di Wall Street, sulla tavola del crowdfunding.
Basta aprire le schede delle imprese che cercano finanziamenti su
Kickstarter o IndieGoGo, ma anche sull'italiana SiamoSoci, per capire
che le nuove modalità d'investimento e le imprese impegnate nella
vendita di prodotti e servizi socialmente utili sono due network che
s'incrociano e s'intrecciano in più punti. Non a caso stanno nascendo
diversi portali mirati al finanziamento di questo tipo di startup, come
Mosaic, dedicato alle fonti pulite di energia, o MedStartr, consacrato
al mondo della salute. Il primo esempio di crowdfunding, del resto, è
stata proprio un'organizzazione con intento filantropico: Kiva è una
società californiana nata nel 2005, che veicola prestiti via web a
piccolissime imprese nei Paesi in via di sviluppo, consentendo ai
finanziatori di seguire i progressi dei loro beneficiati attraverso il
sito. La convergenza tra crowdfunding e imprenditoria sociale si legge
in controluce nello Jobs (Jumpstart Our Business Startups) Act, la
normativa americana che allarga le maglie del diritto finanziario per
gli investimenti online nelle società nascenti, in via d'implementazione
tramite i regolamenti della Sec, la Consob americana. E anche la legge
italiana che, prima al mondo, ha aperto la strada al crowdfunding per
startup, all'interno del decreto Crescita 2.0, specifica fra i suoi
obiettivi lo sviluppo di aziende innovative «a vocazione sociale».
«Le tecnologie digitali sono un grande equalizzatore e il
finanziamento collaborativo ha la potenzialità di trasformare
radicalmente il mondo della finanza», prevede Jessica Jackley,
fondatrice di Kiva. E non è l'unica a crederci.
Robert Shiller, l'economista che anticipò il crack di Borsa del 2001,
professore di finanza a Yale, ha paragonato recentemente il crowdfunding
alla nascita dei mercati finanziari come li conosciamo oggi, che
avvenne attraverso una legge, varata a New York nel 1811, volta a
esentare gli investitori da qualsiasi responsabilità legale
nell'eventuale fallimento delle società di cui compravano le azioni in
Borsa. Quella legge ha aperto la possibilità di detenere un portafoglio
diversificato di azioni, che altrimenti sarebbe stato troppo rischioso.
«Il crowdfunding non è altro che un nuovo sviluppo della stessa idea»,
sostiene Shiller e prevede "trasformazioni sbalorditive" da questa
innovazione finanziaria. «La finanza si occupa di controllo dei rischi.
Se la gestione dei rischi venisse adeguatamente democratizzata e i suoi
strumenti più sofisticati venissero distribuiti meglio nell'ambito della
società, potrebbe contribuire a ridurre le diseguaglianze sociali»,
auspica Shiller.
Jackley, che sarà in Italia venerdì prossimo all'Innovation Festival
di Bolzano, in collaborazione con ItaliaCamp, è convinta che il successo
delle forme di finanziamento collettivo per le imprese giovani sia
fortemente condizionato dalla cornice normativa. «Il successo di Kiva
nasce dalla possibilità di offrire un servizio semplice ed elegante: un
prestito senza interessi di almeno 25 dollari per un imprenditore in
cerca di finanziamenti, diretto e convincente», fa notare Jackley.
Invece non è stato così, fino a oggi, per i finanziamenti online alle
startup nei Paesi sviluppati. Qui bisogna fare i conti con normative
stringenti, che impediscono, ad esempio, a una Spa di avere una base di
oltre 500 azionisti. Lo Jobs Act allarga questa base a 2000. La nuova
normativa elimina poi il ruolo vincolante di banche e società
d'investimento nelle transazioni finanziarie. Anche la legge italiana
prevede l'istituzione di un registro per "gestori di portali", diversi
dalle banche. Sarà difficile conciliare il dinamismo del web con la
paludata supervisione Consob, ma è già un buon inizio.
Dopo il successo di Kiva, Jackley ha dovuto incassare il fallimento
di ProFounder, sito di crowdfunding. «Non era abbastanza semplice da
usare. Volevamo esserlo e abbiamo tentato di semplificare il più
possibile il processo, per consentire agli imprenditori di raccogliere
finanziamenti dai loro amici e dalla comunità, ma la cornice legale
allora ci impediva di fare del crowdfunding nel modo in cui i nostri
clienti lo intendevano. Era impossibile creare un'interfaccia aperta,
flessibile e semplice come quella di Kiva, perché eravamo costretti a
districarci in regole molto complesse, che distinguevano gli investitori
tra quelli accreditati e quelli non accreditati, in base a dove
vivevano, a quanto volevano investire, a quanti soldi la società voleva
raccogliere. Abbiamo dovuto rinunciare», spiega. «Ma aspetto con
impazienza di vedere le opportunità che si apriranno con lo Jobs Act»,
aggiunge.
Per chi sarà pronto, è in arrivo un'occasione per innovare,
sia nei contenuti che nel modo con cui finanziarsi. Sarà la strada
giusta per cogliere la ripresa? Forse. Certamente si tratta di un
miglioramento dell'infrastruttura finanziaria per le piccole imprese
innovative, che in questo momento ne hanno particolarmente bisogno.