Il mondo in una pila. Per lo sviluppo delle fonti alternative, essenziali alla crescita sostenibile dell'umanità, il problema sta tutto lì, nell'immagazzinamento dell'energia. Abbiamo bisogno di materiali capaci di una densità energetica sempre maggiore e rapidi nel rilasciarla per il consumo. Solo così saremo in grado di rimpiazzare i combustibili fossili, capaci di contenere, a parità di volume, 35 volte l'energia immagazzinata in una batteria convenzionale e di rilasciarla istantaneamente con la combustione. Senza questo tassello fondamentale, tutte le tecnologie già mature, come l'eolico, il fotovoltaico o l'auto elettrica, rimarranno un fenomeno di nicchia e non riusciranno a far girare il motore del mondo.
Riccardo Signorelli, ricercatore italiano emigrato negli Stati Uniti, lavora da otto anni a questo snodo cruciale, da quando è arrivato al Mit di Boston. «Finalmente ora abbiamo un prodotto pronto per l'utilizzo industriale», annuncia durante una visita a Milano, per partecipare al meeting della Camera di commercio su «Imprese oltre la crisi». Il suo prodotto è un oggetto piccolissimo, non più grande di una stilo: un ultracapacitore dotato di una densità di potenza eccezionale, grazie ai nanotubi di carbonio di cui è composto. «Il nostro ultracapacitore è 15-20 volte più potente degli altri comunemente in commercio e 20-40 volte più potente di una batteria tradizionale», spiega Signorelli. «Non riesce a contenere moltissima energia, ma può caricarsi e scaricarsi istantaneamente senza stress, quasi all'infinito, perché funziona in base a un principio fisico, non elettrochimico», precisa. In pratica, affiancato alle batterie già in uso nelle auto elettriche, questo cilindretto potrebbe farsi carico di tutte le variazioni improvvise di potenza, accelerazioni e frenate tipiche del traffico urbano stop-and-go, che stressano enormemente i dispositivi attuali e ne accorciano la vita ben al di sotto della durata media di un veicolo, calcolata in 14 anni. Questo è uno dei problemi fondamentali dell'auto elettrica: dato il costo della batteria, chi si azzarda a comperare un veicolo carissimo senza avere la garanzia che il cuore del sistema non muoia a metà strada?
Il dispositivo di Signorelli risolve questo problema a costi molto competitivi, quindi allunga la vita della batteria e ne riduce il prezzo. Infatti alcuni suoi concorrenti stanno già entrando nell'industria automobilistica: Daimler, Peugeot, ma soprattutto le compagnie cinesi più impegnate su grandi veicoli come gli autobus elettrici, già usano sistemi ibridi di questo tipo. «Per noi è uno sviluppo molto positivo, perché finora la maggiore resistenza del mercato derivava dal timore di complicare troppo i circuiti aggiungendo una componente nuova: è molto difficile far capire che questa componente non è un elemento di complicazione, ma di semplificazione del sistema» commenta Signorelli, con la sicurezza di avere in tasca un prodotto enormemente più avanzato degli altri, che costa la metà. «Per adesso lo stiamo testando per usi industriali, all'automotive non ci siamo ancora arrivati, perché lì le regole sulla sicurezza sono molto più rigorose e i collaudi lunghissimi», rileva Signorelli. «Ma presto ci arriveremo», prevede.
La sua è una storia emblematica dell'attuale congiuntura, vista in chiave di opportunità più che di rallentamento. Questo bergamasco di 32 anni, diplomato all'istituto tecnico Pesenti, ha sempre avuto la fissa dell'energia elettrica. «Fin da piccolo, mi piaceva trafficare con le batterie», ricorda sorridendo. Ma il decollo verso un successo che tutti ci auguriamo c'è stato due anni fa. Dopo aver lavorato per sei anni al suo ultracapacitore ai nanotubi di carbonio con Joel Schindall, direttore del Laboratory for Electromagnetic and Electronic Systems del Mit, nel 2009 Signorelli ha ricevuto un grant di 5,5 milioni di dollari dal Governo americano, per sviluppare e industrializzare la sua invenzione, nell'ambito del Recovery and Reinvestment Act, il pacchetto di stimolo da 780 miliardi varato dall'amministrazione Obama nel tentativo di tirare fuori l'America dalla recessione. Tentativo abbastanza riuscito, anche perché mirato a sviluppare l'innovazione in settori cruciali e già molto reattivi dell'economia americana, come quello delle energie alternative. «Quel grant ci ha messi in luce e ha scatenato una valanga. Di colpo, avevo la fila di investitori privati fuori dalla porta, tanto che a un certo punto abbiamo dovuto respingerne qualcuno. Così ho finanziato la startup di FastCap, ho costruito i laboratori di produzione e nel giro di due anni siamo passati da due dipendenti ai quasi 40 di oggi», racconta. In settembre, gli sono arrivati altri 2,2 milioni di dollari dal department of Energy, nell'ambito di un ulteriore sforzo del Governo per sviluppare tecnologie pulite: non a caso, il finanziamento è stato deciso dal ministro dell'Energia Steven Chu, premio Nobel per la Fisica.
Negli Stati Uniti Signorelli è una star, ma non si fa illusioni: «La strada è ancora lunga». La rivoluzione non arriva da un giorno all'altro, ma lavorarci con costanza aiuta.