La cattura della CO2 è una tecnologia di frontiera quasi tutta da scoprire, ma la Norvegia è convinta di poterla conquistare. Questa tecnologia, che punta a eliminare le emissioni di gas serra dai processi di estrazione e combustione degli idrocarburi, è considerata dall’International Energy Agency l’unico modo per poter continuare a usare le fonti fossili, in prospettiva, pur senza surriscaldare troppo il pianeta. Ma solo otto impianti industriali al mondo praticano il sequestro dell’anidride carbonica, di cui tre gestiti da Statoil, la compagnia petrolifera del governo di Oslo. Statoil la sigilla in formazioni geologiche chiuse, a Snøhvit nel Mare di Barents, a Sleipner nel Mare del Nord e a Salah, in Algeria, mentre negli altri cinque, tutti in Nord America, viene reimmessa nei giacimenti per aumentarne la resa. Non è un caso che proprio Statoil sia così impegnata su questo fronte: la Norvegia è il quinto Paese esportatore di petrolio e il terzo esportatore di gas al mondo. Il 20% del suo prodotto interno lordo viene dagli idrocarburi e questa quota crescerà con l’avvio dello sfruttamento dei giacimenti artici. D’altra parte, il Paese è anche in cima a tutti gli indici di sostenibilità e grazie a una pesante Carbon Tax è riuscito a orientare perfino l’industria petrolifera verso un approccio molto rigoroso sul problema delle emissioni e verso l’eco-innovazione nella produzione. La funzione di apripista in questa tecnologia nuova ha finito per aggregare attorno a Statoil tutti i migliori impiantisti, attratti dalla prospettiva di arrivare primi in un business nascente.
Non a caso proprio Statoil ha messo in piedi un maxi impianto sperimentale, il Technology Centre Mongstad vicino a Bergen, il maggiore progetto a livello mondiale dedicato interamente alla cattura della CO2, che tratta i fumi di una raffineria e di una centrale a cogenerazione alimentata a gas. L’impianto, che può catturare fino a 100mila tonnellate l’anno di CO2, è stato realizzato in joint-venture con Gassnova dopo un rigoroso processo di Pre-Commercial Procurement, grazie al quale sono stati identificati i due procedimenti più innovativi per la cattura della CO2 post-combustione, uno ideato dal colosso francese Alstom e l’altro dalla norvegese Aker Clean Carbon. Entrambi utilizzano un solvente (rispettivamente ammoniaca refrigerata e ammina) per assorbire l’85% circa di CO2 dai fumi di scarico.
Il processo di Pcp è cominciato con un bando pubblicato nel 2011 sull’Official Journal of the European Union, in base al quale sono stati identificati i 5 fornitori più innovativi per le varie tecnologie del centro: Mitsubishi, Alstom, Siemens, Aker Clean Carbon e Huaneng-Ceri Powerspan. Il centro, entrato in funzione nel 2012, è uno dei più grandi esempi di Pcp nel mondo dell’energia. Gli investimenti in questo settore, infatti, si erano sempre limitati a impianti pilota capaci di filtrare solo una piccola quantità di emissioni inquinanti. Ora l’obiettivo è sperimentare i diversi sistemi di cattura per poi applicarli su scala industriale. I dubbi maggiori riguardano i costi molto elevati della cattura, tanto da rendere indispensabili numerosi test sul campo per scegliere le migliori tecnologie, aumentandone la resa di assorbimento della CO2.
La cattura della CO2 gode del pieno supporto europeo e dell’International Energy Agency. In base alle stime dell’agenzia, il sequestro della CO2 potrebbe ridurre del 20% le emissioni a effetto serra entro il 2050 a livello planetario, ma solo se gli impianti di assorbimento verranno applicati sia alle centrali termoelettriche che agli stabilimenti industriali come raffinerie, acciaierie, poli siderurgici, cementifici e simili. Un mercato enorme che si potrebbe aprire se gli esperimenti a Mongstad si riveleranno remunerativi.