L’acqua potabile è una risorsa limitata e sempre più scarsa. Già oggi un miliardo e mezzo di persone sono a corto di acqua da bere, il 20% della popolazione mondiale. Nel 2050 saranno 4 miliardi, il 45% dell’umanità, in base alle stime della Banca Mondiale. Ma avere acqua non basta, bisogna che sia pulita. Il 40% della popolazione mondiale, 2 miliardi e mezzo di persone, vive in luoghi privi di sistemi fognari e un milione e mezzo di bambini all’anno, quattromila al giorno, muoiono di malattie derivate dall’acqua contaminata. Per questo la corsa alla ricerca di un metodo efficiente e sostenibile per la purificazione dell’acqua è una gara molto affollata.
Le carenze non sono equamente distribuite: nove Paesi controllano il 60% della disponibilità globale e tra questi solo Brasile, Canada, Colombia, Congo, Indonesia e Russia ne hanno in abbondanza. Cina e India, con oltre un terzo della popolazione mondiale, devono accontentarsi del 10% dell’acqua dolce e secondo l’ultimo rapporto del Mit 2014 Climate and Energy Outlook continueranno a essere penalizzate anche nei decenni che verranno. “Il riscaldamento del clima porterà maggiori precipitazioni, soprattutto in India, ma non necessariamente nei periodi giusti dell’anno e quindi potrebbero essere inutili”, scrive il Mit.
D’altro canto, in ampie aree del mondo, soprattutto l’Africa e il Medio Oriente, il fabbisogno è destinato a crescere insieme all’aumento della popolazione e i cambiamenti climatici qui avranno solo effetti controproducenti. Le carenze idriche sono particolarmente preoccupanti in molte grandi città: l’acqua di Città del Messico viene al 70% da una falda che sarà esaurita nel giro di un secolo al ritmo di estrazione attuale, tanto che la città sprofonda. Un problema analogo si pone a Barcellona, dove lo svuotamento della falda d’acqua dolce sta causando il progressivo avanzamento dell’acqua salmastra nel sottosuolo. Il 97% dell’acqua presente sulla terra, infatti, è salata e quindi inservibile.
La correlazione fra cibo e acqua, poi, è molto stretta. Visto che il 70% dell’acqua consumata sulla Terra va in agricoltura, non c’è l’uno senza l’altra. Dopo tre anni a secco, ad esempio, la catastrofica siccità della California quest’anno ha mandato alle stelle il prezzo globale delle mandorle (dal Golden State arriva oltre l’80% della produzione mondiale) e se andrà avanti così, per salvare i raccolti dell’anno prossimo, il governo sta prendendo in considerazione uno scavo di 35 miglia per trasportare l’acqua del fiume Sacramento fino ai campi assetati della San Joaquin Valley.
A questi limiti imposti dalla natura, l’uomo può opporsi con l’efficienza. Le piscine californiane, cui quest’anno il governatore Jerry Brown ha chiuso i rubinetti con una legge severissima dettata dall’emergenza, sono solo un esempio degli sprechi considerati normali fino a cinquant’anni fa, quando l’umanità contava appena 2 miliardi e mezzo di persone, contro i 7,2 miliardi di oggi. Sprechi che dovranno essere sanzionati sempre più rigorosamente, man mano che la popolazione mondiale cresce. “La domanda è in aumento e non possiamo continuare a sprecare acqua. L’efficienza è il punto chiave su cui battere nei prossimi dieci anni, per farla diventare un’abitudine quotidiana”, ha sostenuto Torgny Holmgren, direttore dello Stockholm International Water Institute, a chiusura della World Water Week di Stoccolma qualche settimana fa.
I primi attori chiamati in causa da Holmgren sono le imprese private, che possono fare molto per ridurre gli sprechi globali. E quasi tutte le multinazionali si stanno muovendo, non per buon cuore ma perché le carenze idriche stanno diventando un problema per le loro produzioni: compromettono i raccolti di cotone, cacao, caffè e altre materie prime, rendendo più costose le lavorazioni e intaccando la loro competitività. Basterà? Certamente no. Ci vogliono interventi radicali sull’agricoltura, per aumentarne l’efficienza.
E poi non resta che sperare nell’ingegnosità della mente umana. Fra i vari tentativi di risolvere le carenze idriche, quello di rendere potabile l’acqua di mare è uno dei più persistenti. E grazie ai recenti progressi tecnologici, che riducono costantemente i consumi esorbitanti di energia dei dissalatori, questo mercato è destinato a crescere in maniera esponenziale. In base a uno studio di Global Water Intelligence, gli investimenti negli impianti di dissalazione sono destinati a lievitare a 17 miliardi già nel 2016, dai 5 miliardi del 2011. E tutto fa ritenere che rendere dolce l’acqua salata sarà una delle soluzioni strategiche per dissetare 11 miliardi di persone.