Carri armati sul gasdotto

Davanti ai carri armati di Mosca in marcia verso l'Ossezia, i primi a tremare in Italia sono stati i padroni di Erg, che in giugno avevano aperto le porte a Lukoil per vendere ai russi una quota consistente (il 49%) delle raffinerie di Priolo. L'accordo consentirà lo sbarco russo nella raffinazione del Mediterraneo e farà entrare 2.750 milioni di euro nelle casse della società petrolifera guidata da Alessandro Garrone. Ma ora è minacciato dal rischio Georgia. “Non si possono escludere problemi per l'approvazione dell'acquisto delle raffinerie siciliane da parte delle autorità alla concorrenza europee”, ha dichiarato il numero uno di Lukoil Vagit Alekperov il giorno stesso del vertice europeo sulla crisi georgiana. In realtà, secondo alcuni osservatori, il messaggio potrebbe essere interpretato in maniera ben più minacciosa: se Bruxelles ci metterà i bastoni fra le ruote in Georgia, addio investimenti. In casa Garrone non commentano e ribadiscono che il closing è previsto entro la fine dell’anno, visto anche l’atteggiamento morbido assunto per ora da Bruxelles. Gli occhi di tutti, però, restano puntati sul Caucaso. Per l'Italia, il fronte dell'energia è senz'altro il più delicato. L'import di idrocarburi dalla Russia sfiora i trenta miliardi di metri cubi l'anno, su un fabbisogno complessivo di 85 miliardi, in rapido aumento. E Vladimir Putin non si fa certo scrupolo di usare il ricatto energetico come strumento di politica estera. Le società italiane più coinvolte nel grande gioco con il Cremlino, ovviamente, sono Eni ed Enel. Anche chi ha deciso di puntare su percorsi alternativi alle grandi vie del gas russo, come Edison con il suo gasdotto meridionale attraverso la Turchia e la Grecia, che darà uno sbocco europeo al metano azero, non applaude. Ma le intemperanze di Putin preoccupano soprattutto i piani alti dei due big energetici italiani – che in Russia hanno in corso investimenti colossali – per le ripercussioni negative che potrebbero avere alla lunga sugli ambienti finanziari internazionali, già poco inclini a farsi coinvolgere negli affari del nuovo zar. Il timore è che l’imperialismo russo non si fermi qui: il prossimo passo – prevedono diversi operatori – potrebbe essere l’imposizione del rublo come moneta di pagamento per l’acquisto d’idrocarburi russi e il tentativo di aprire, di concerto con i cinesi, un mercato alternativo delle materie prime, in concorrenza con Wall Street. A quel punto la guerra sarebbe aperta e il rischio di mettersi seriamente in contrasto con il sistema finanziario americano sempre più alto. Già oggi il gioco del Cremlino non manca di aspetti imbarazzanti, decisamente in contrasto con il galateo del libero mercato. Come la questione dello smembramento dell'impero del magnate Mikhail Khodorkovski – spossessato della sua Yukos e incarcerato in Siberia da quando aveva tentato di mettersi in politica – in cui i due giganti energetici italiani hanno svolto un ruolo determinante. Si tratta di una partita lunga e difficile, iniziata ad aprile 2007, quando una società mista Eni-Enel (60-40%), SeverEnergia, si è aggiudicata il secondo lotto degli asset ex Yukos per 5,8 miliardi di dollari, consentendo a Gazprom di partecipare all’operazione senza esporsi. Sui preziosi giacimenti in area artica conquistati dagli italiani, infatti, Gazprom detiene un'opzione call del 51%, che potrà essere esercitata entro il 2010. A sua volta, questo accordo era stato preceduto da una più ampia intesa strategica Eni-Gazprom, firmata nel novembre 2006: allora il gruppo italiano aveva ottenuto il prolungamento dei contratti di fornitura di gas al 2035, concedendo ai russi una disponibilità sulla capacità di trasporto fino a 3 miliardi di metri cubi l'anno da vendere direttamente sul mercato italiano. Varie intese di Gazprom con le utilities italiane affamate di gas – A2A, Enìa e Ascopiave – sono proprio in questi giorni all'esame di Bruxelles. L'Enel invece ha conquistato il controllo della genco Ogk5, diventando il principale operatore elettrico straniero attivo in Russia. La reciprocità sarà soddisfatta con lo sbarco di Gazprom nella produzione di energia italiana. “Come noi vogliamo andare in Russia a estrarre direttamente il loro gas – commentò a suo tempo il numero uno di Enel Fulvio Conti – è giusto che anche loro vogliano avere uno sbocco diretto sul nostro mercato”. Sul tavolo tre-quattro centrali, nelle quali Gazprom potrebbe avere una partecipazione di minoranza, con la disponibilità di forniture a prezzi di fabbrica per alimentare una vera e propria rete commerciale in Italia. Dal produttore al consumatore.

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