L’outsourcing colpisce anche i servizi sanitari

Dalla periferia di Filadelfia, dove il Crozer-Chester Medical Center accoglie ogni giorno centinaia di pazienti, alle colline di Gerusalemme il passo è breve: se mai vi capitasse di essere ricoverati durante la notte nel gigantesco ospedale all'incrocio fra Pennsylvania, Delaware e New Jersey, con una sospetta appendicite o con qualche osso rotto, le vostre radiografie verrebbero esaminate dal dottor Jonathan Schlakman e colleghi nel Media Medical Imaging di Gerusalemme, all'altro capo del mondo. Per chi lavora su immagini o altre informazioni facilmente trasferibili in forma digitale, la distanza ormai non è più un problema. Al momento solo 35 serie di radiografie al giorno vengono trasmesse da Filadelfia a Gerusalemme, ma più cresce la paga dei radiologi americani e i turni notturni diventano un lusso per gli ospedali, più radiografie finiranno in Medio Oriente – dove un radiologo costa la metà e dove splende il sole quando è notte a Filadelfia – per decidere se è il caso di operare subito o no.
Per ora Schlakman e compagni sono solo una manciata, ma lo sviluppo delle nuove tecnologie applicate alla medicina sembra destinato a trasformarli in una vasta schiera. La radiologia offshore è il primo esempio di telemedicina transcontinentale che potrebbe dare lo scrollone finale all'unità di luogo, tempo e spazio che fino ad oggi aveva caratterizzato il settore. Che bisogno c'è, infatti, di avere un radiologo a girarsi i pollici in ospedale, soprattutto di notte, quando si può far prima e risparmiare rivolgendosi a un radiologo indiano, sorta di traduzione medica dell'idraulico polacco? L'Europa, se si escludono alcuni timidi tentativi in Gran Bretagna, è per ora immune dalla versione offshore della telemedicina, riservata a reti diagnostiche che si arrestano ai confini nazionali. La stessa direttiva Bolkestein, dopo lungo protestare e mediare, si è fermata davanti al sacro tempio medico escludendo, di fatto, i servizi sanitari dalla liberalizzazione.
Ma nel selvaggio West i puledri dell'outsourcing galoppano e sono ormai centinaia gli ospedali statunitensi e canadesi che esternalizzano servizi medici essenziali a società in Israele, India, Pakistan, Cina, Brasile e Australia. Tutto ciò che corre dentro un filo è passibile di outsourcing. Come riferisce Robert Wachter, del dipartimento di Medicina dell'Università della California a San Francisco, oltre all'interpretazione delle radiografie, “il fenomeno sta investendo le terapie intensive, gli interventi di chirurgia a distanza e le cosiddette trascrizioni mediche: le unità di terapia intensiva elettroniche, per esempio, consentono al medico di seguire il proprio paziente anche in remoto, osservando l'andamento dei parametri vitali e intervenendo in
caso di bisogno direttamente via computer o allertando il personale residente”. Le trascrizioni mediche sono un caso ancora più peculiare di outsourcing. Da alcuni anni grosse compagnie forniscono a centinaia di ospedali nordamericani un servizio che consente ai medici di ottimizzare il proprio tempo. In che modo? Dettando casi clinici, diagnosi e prescrizioni a veri e propri scribi moderni, che si trovano dall'altra parte del globo e che devono avere pochi requisiti: comprendere lingua inglese e terminologia medica e, soprattutto, richiedere un compenso esiguo.
Da dove parte la tendenza a delegare servizi medici all'esterno di un ospedale e addirittura fuori dai confini di uno Stato? Di certo uno dei complici è lo sviluppo tecnologico, che ha portato alla digitalizzazione della medicina, ma altrettanto importante è la convenienza economica: un radiologo indiano guadagna circa 25mila dollari l'anno contro i 350mila di un collega americano. Oltre al risparmio di soldi e tempo, il teleconsulto e la teleradiologia potrebbero aumentare la qualità delle prestazioni, diffondendo la pratica del secondo parere e consentendo a comunità non servite da ospedali specialistici di fare riferimento a centri di eccellenza.
“Sono convinto che l’outsourcing in medicina non possa che migliorare il livello delle cure”, sostiene Paul Berger, un pioniere della teleradiologia, che ha fondato nel 2001 la NightHawk Radiology Services, leader americana dei servizi di radiologia notturna. Ma molti non sono del suo stesso parere. “Bisogna riflettere sulla qualità di queste prestazioni 'dislocate', che possono tradursi in un mero dumping in mano a operatori senza scrupoli”, sostiene Wachter. Il rischio di un declino qualitativo delle prestazioni mediche ha indotto il Congresso a consentire per legge il servizio medico in remoto solo a chi abbia ottenuto un'abilitazione professionale negli Stati Uniti. Tuttavia, si moltiplicano le segnalazioni di veri e propri ghost reader, ossia schiere di tecnici anonimi e meno qualificati che lavorerebbero a nome di pochi medici autorizzati a fornire teleconsulto. Anche la tutela della privacy rischia di uscire a pezzi dalla medicina 'dislocata', caratterizzata da flussi continui di dati clinici da una sponda all'altra dell'Oceano. Una legge bipartisan fatta approvare l'anno scorso da Hillary Clinton ha cercato di dare qualche regola rendendo obbligatorio il consenso dei malati a inviare i propri dati all'altro capo del mondo.
Ma la tendenza sembra inarrestabile. E va ad alimentare l'emorragia di posti di lavoro nei servizi – non più solo nel comparto manifatturiero – dall'Occidente verso i Paesi in via di sviluppo. “Nel secolo scorso – spiega Brad Delong, docente di Economia a Berkeley – chi lavorava la terra o in una fabbrica sapeva di essere in competizione con i lavoratori di continenti lontani, sapeva che le dinamiche del mercato globale possono far sparire il vantaggio di mantenere in Occidente la produzione, spazzando via il suo lavoro e il sostentamento della sua famiglia. Oggi si sta aprendo un nuovo capitolo: i cavi in fibra ottica, i satelliti e Internet stanno assumendo il ruolo svolto nel secolo scorso dai grandi transatlantici, che hanno minimizzato il costo del trasporto delle merci. Tutti i compiti di back-office, di elaborazione dati, di servizio clienti, di programmazione informatica, tutte le mansioni tecniche che si basano su un supporto cartaceo ora si possono spostare verso continenti lontani, esattamente come nel secolo scorso si è spostata una parte dei posti di lavoro agricoli o manifatturieri”. Per Delong, acceso paladino della globalizzazione, in fondo non c'è niente di male, anzi: “Questa riallocazione di posti di lavoro finirà per diventare una straordinaria fonte di crescita per l'economia mondiale nelle prossime due generazioni”. Giusto. Ma come spiegarlo al giovane radiologo disoccupato di Siracusa?

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