Gas e carbone in gara per riempire lo spazio atomico

La battuta migliore sullo scenario post-atomo l'ha fatta il capo economista dell'International Energy Agency, Fatih Birol: "Il gas è stato fortunato, perché tutti i suoi concorrenti hanno avuto qualche problema". Ma nella prospettiva al 2030, la battaglia è ancora aperta. Fonti rinnovabili e combustibili fossili si contendono le spoglie del defunto. Da qui ad allora, nel sistema elettrico italiano mancheranno all'appello circa 100 terawattora di energia, il 25% della produzione, che dovevano arrivare da fonte nucleare, con otto reattori da costruire nei prossimi vent'anni, secondo i piani del governo. Su quei 100 terawattora che ballano, al netto dell'introduzione di misure importanti di efficienza energetica, hanno messo gli occhi in tanti. L'unica certezza è che in ogni caso li pagheremo di più.

"La quota di nucleare che verrà a mancare, secondo le nostre previsioni, sarà ripianata dalle fonti fossili, non dalle rinnovabili. E in particolare dal gas", spiega Davide Tabarelli di NomismaEnergia. Una previsione largamente condivisa fra gli analisti, compreso Birol, alla luce delle riserve di gas non convenzionale a cui oggi è possibile attingere. Di conseguenza, il primo vincitore della partita post-nucleare sarà l'Eni di Paolo Scaroni. L'aumento dei costi, d'altra parte, sembra inevitabile. Non è difficile dimostrare il forte legame fra le quotazioni del greggio e l'andamento delle bollette in Italia, con le note conseguenze negative per il portafoglio di consumatori e imprese. I Paesi con una maggiore esposizione al nucleare mostrano invece una maggiore tenuta dei prezzi, proprio per la minor dipendenza del loro parco di generazione dalle quotazioni del petrolio. "Basta mettere a confronto le tariffe elettriche dei Paesi che ottengono almeno il 25% della produzione da nucleare con le nostre e calcolare la differenza. Dalle nostre simulazioni, emerge che se anche in Italia si producesse il 25% da nucleare, le tariffe sarebbero inferiori del 16% per il settore industriale e del 20% per quello residenziale. In caso di produzione nucleare, dunque, il risparmio potenziale per il sistema elettrico italiano al 2030 si aggirerebbe sui 13 miliardi all'anno", precisa Tabarelli. Tolto il nucleare, questi benefici si tramuteranno in costi.

La Germania, che il vantaggio del nucleare al 25% della produzione elettrica ce l'aveva già, è il laboratorio dove queste dinamiche oggi si possono toccare con mano. "Le prime ricadute dello stop alle centrali tedesche più vecchie, che probabilmente resteranno spente, sono i rincari sul mercato dell'energia e il potenziamento delle centrali a carbone (già al 45% della produzione elettrica tedesca), con relativo aumento delle emissioni di CO2", spiega Simone Mori, responsabile regolamentazione e ambiente dell'Enel e vicepresidente di Assoelettrica. Per adesso, quindi, le fonti fossili sono in prima linea. Ma in Italia, dove l'economico carbone copre solo il 13% della domanda, è tutto più complicato: la riconversione a carbone "pulito" della centrale a olio di Porto Tolle per adesso è bloccata da una sentenza del Consiglio di Stato e rischia di essere rimandata per mesi. L'Enel di Fulvio Conti, in compenso, ha evitato ripercussioni in Borsa controbilanciando la débacle nucleare con la sua massiccia presenza nelle fonti rinnovabili, tramite Enel Green Power.

Sul fronte dell'energia pulita, il no all'atomo risveglia grandi speranze. "La consapevolezza che il nucleare non potrà aiutare l'Italia a centrare i target di riduzione delle emissioni di CO2 al 2020 ora va tradotta in una revisione del decreto che ha bloccato lo sviluppo delle rinnovabili, con una definizione chiara degli incentivi in tempi brevi", chiede il presidente dell'Associazione produttori energie rinnovabili, Agostino Re Rebaudengo. Per Simone Togni, presidente dell'Associazione nazionale energia del vento, tocca alle rinnovabili rimpiazzare il nucleare, non al gas: "Quei 100 terawattora da ripianare al 2030 potranno essere agevolmente coperti con le fonti verdi, assegnando il 90% in parti uguali a eolico, biomasse, idroelettrico e il resto alle altre fonti, compreso il fotovoltaico", propone Togni. In pratica, si tratterebbe di coprire con le fonti rinnovabili il 50% della nostra produzione elettrica da qui al 2030. Ma se già per coprire un quarto della produzione italiana, gli incentivi ci costeranno 10-12 miliardi all'anno in bolletta, quanto ci costerebbe coprirne la metà?

"Sono bei sogni", replica Tabarelli, numeri alla mano. Nel 2010 le rinnovabili hanno coperto il 23,4% della produzione elettrica italiana: 70 terawattora su 300 complessivi. Nelle previsioni di NomismaEnergia, al 2030 queste fonti potrebbero arrivare, a fatica, a coprire il 28% della domanda, 121 terawattora su 438 complessivi, con l'idroelettrico e il geotermico costanti (dati i limiti oggettivi delle risorse), l'eolico quintuplicato, le biomasse raddoppiate, il fotovoltaico moltiplicato per otto. "E' impensabile uno sviluppo più estremo – rileva Tabarelli – a meno di non credere nelle favole". O di aumentare a dismisura la bolletta elettrica degli italiani.

  • Stufo2 |

    continuate a sostenere pervicacemente che gli incentivi alle rinnovabili siano dei costi scaricati sulla bolletta, l’effetto calmiere della produzione di energia rinnovabile nelle ore di picco, specie per la fotovoltaica, non lo considerate, nè fate menzione che esista; eccellente analisi economica e strategica

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