Basta al salasso dei contratti take-or-pay sul gas

Salasso energetico per l'Italia, mentre
il resto del mercato occidentale gode di prezzi del gas sempre più
bassi. Il divario fra le nostre bollette e quelle dei vicini è
stato rilevato proprio negli ultimi giorni da Eurostat, mettendo in
evidenza ancora una volta, se ce ne fosse bisogno, quanto sia stata
giusta la decisione dell'Autorità per l'Energia di trasferire anche
sui consumatori italiani le dinamiche che stanno spingendo in basso
il prezzo del gas sui mercati internazionali. In pratica, fino ad ora
il prezzo del gas era stabilito tenendo come riferimento i contratti
a lungo termine, i cosiddetti take-or-pay stipulati dall'Eni
con i fornitori russi e algerini, particolarmente svantaggiosi
rispetto al contesto attuale di mercato, mentre dal primo ottobre,
per il prezzo della materia prima, si farà riferimento solamente ai
prezzi spot del mercato all'ingrosso. Una mossa che dovrebbe portare
un risparmio complessivo di circa 90 euro all'anno sulla bolletta
media degli italiani.

I contratti take-or-pay ("prendi
o paga") obbligano a ritirare ogni anno un certo quantitativo di
gas o a pagarlo comunque, salvo ritirarlo in seguito. Il tutto a
prezzi legati alle quotazioni del petrolio, ben più alti di quelli
correnti sul mercato del gas, dove si riflette il calo della domanda
attuale e soprattutto l'aumento dell'offerta dovuto al boom dello
shale gas. La sovrabbondanza di gas negli Usa sta avendo forti
ricadute su tutto il mercato mondiale e ne avrà di più ampie
ancora, quando gli Stati Uniti cominceranno a esportare gas
liquefatto. Lo stesso Paolo Scaroni, numero uno dell'Eni, ha detto
recentemente di aver "avuto la sensazione", da un colloquio
con il nuovo ministro americano dell'Energia Ernest Moniz, che
quest'attività stia per iniziare. E parlare di sensazione qui è
chiaramente un eufemismo, dati gli investimenti miliardari in corso
in Louisiana sugli impianti per l'export. Questo fenomeno, unito al
calo dei consumi europei, sia per colpa della crisi che per effetto
della transizione energetica verso fonti più pulite, ha
profondamente cambiato il mondo dell'energia, lasciando con un palmo
di naso chi, come l'Eni, è legato a contratti di lunghissimo
periodo, che non rispondono più alle nuove condizioni del mercato.

Ora l'Eni sta cercando di rinegoziare
con i fornitori, ma intanto sul gruppo gravano impegni colossali: per
i prossimi anni ritiri minimi per 15-18 miliardi di euro l'anno, per
un totale di oltre 247 miliardi da qui alla scadenza. Un possibile
strumento per limitare i danni lo ha indicato Scaroni lo scorso
autunno: poiché i contratti take-or-pay garantiscono
all'Italia forniture sicure ma fanno perdere soldi, ha detto durante
un'audizione al Senato, chi paga le bollette dovrebbe contribuire a
mantenerli in vita, pagando di più. Per fortuna la sua richiesta è
caduta nel vuoto. E ci si chiede perché nel 2007, quando i
segni della crisi c'erano già tutti, l'Eni si sia precipitato a
prolungare contratti ventennali senza pretendere la revisione del
prezzo.