Ai confini del vento, oltre l’ultima Thule

Una distesa di soldatini ordinati,
appena visibili sullo sfondo grigio-azzurro del mare, alti e
slanciati fino all'orizzonte. Si presentano così, con discrezione ed
eleganza, i parchi eolici offshore sparsi fra le coste inglesi,
tedesche e scandinave del Mare del Nord. Tutt'altra impressione si
ricava da un incontro a tu per tu con le mega-turbine. Haliade, la
più grande del mondo, svetta ben più alta del Duomo di Milano e
vista da vicino fa paura. D'altra parte, una turbina di queste
dimensioni produce da sola abbastanza energia da soddisfare il
fabbisogno di diecimila famiglie. Con un rotore del diametro di 150
metri e 6 megawatt di potenza, l'ultima nata dell'industria del vento
sfiora i limiti fisici di questa tecnologia: alla velocità massima
di rotazione di 300 chilometri orari, l'attrito comincia a consumare
l'estremità delle pale e quindi sarà difficile andare oltre le sue
dimensioni. Haliade non è ancora operativa: ha appena superato i
primi test per la certificazione europea a Saint Nazaire, alla foce
della Loira. Ma sarà ben presto una presenza importante lungo la
costa atlantica francese. Alstom, la casa madre, si è aggiudicata
insieme a Edf i primi 1.500 megawatt offshore messi in palio dal
governo e ne pianterà 240 fra Le Havre e Saint Nazaire.

La mega-turbina sarà realizzata in
quattro stabilimenti nuovi di zecca, con un potenziale di 5000 posti
di lavoro: due a Saint-Nazaire, vicino a Nantes, e due a Cherbourg,
sulla Manica. In pratica, con la commessa affidata a Electricité de
France – che ha vinto tre delle quattro gare del bando, mentre
Iberdrola si è aggiudicata la quarta insieme ai francesi di Areva –
il governo di Parigi si è inventato dal nulla un'industria eolica
locale, dando il via a un comparto che prima la Francia non aveva. I
tedeschi, nel frattempo, non stanno con le mani in mano. Mentre
Alstom bruciava le tappe, anche Siemens si è data da fare, piantando
175 turbine alla foce del Tamigi, nel più grande parco eolico
offshore del mondo, London Array, che sarà inaugurato all'inizio di
luglio. La società tedesca ha da poco avviato a Østerild, in
Danimarca, i primi test per la sua mega-turbina da 6 megawatt e
sempre qui dovrebbero partire fra qualche mese i test per il nuovo
bestione della danese Vestas, che avrà una potenza di 8 megawatt.
Questi prototipi e altri ancora rappresentano il futuro dell'eolico,
a giudicare dalla rapidità con cui sta crescendo l'offshore, ultimo
arrivato sul mercato del vento e già in corsa per raggiungere la
competitività con i combustibili fossili.


London array

La nuova tecnologia deve
combattere con i consueti problemi di tutte le fonti rinnovabili:
l'intermittenza, la difficoltà di immagazzinare l'energia prodotta e
la distanza dai centri di consumo, che comporta lunghe e costose
linee di trasmissione. Ma con la spinta degli incentivi governativi,
già oggi risulta attraente il vantaggio offerto da una fonte
gratuita e pulita come il vento in mezzo al mare, che consente di
affrancarsi dalla dipendenza energetica dall'estero, senza ingombrare
il territorio di pale o di centrali elettriche.

Il Regno Unito è
l'Eldorado europeo di questo settore nascente e tutti i grandi
dell'eolico si stanno preparando alla corsa. Il governo inglese ha in
progetto d'installare ben 32 gigawatt di pale offshore, per coprire
un terzo della domanda elettrica britannica complessiva. Ma in
prospettiva, secondo le stime degli esperti, i sudditi di Elisabetta
potrebbero addirittura generare, con la forza dei venti marini, tre
volte l'elettricità di cui hanno bisogno e venderla all'estero. Il
vento sarà il loro nuovo petrolio, quando il Mare del Nord non darà
più nemmeno una goccia di oro nero. Il segreto di questo sviluppo
sta soprattutto nei bassi fondali tipici di quei mari ventosi e molto
adatti per l'eolico offshore. Il Dogger Bank, ad esempio, è una
vasta area a cento chilometri delle coste inglesi, con profondità
fra i 15 e i 30 metri, su cui si progetta un gigantesco parco eolico
che arriverà in una prima fase a 9 gigawatt di potenza e in una
seconda fase a 13, oltre il doppio di tutta la potenza eolica
installata (a terra) in Italia. Di pale in mare, invece, da noi non
se ne vede una. Manca il vantaggio diffuso dei bassi fondali, certo,
ma la difficoltà principale risiede nelle resistenze locali: famoso,
ad esempio, è il caso di un parco progettato al largo delle coste
molisane, dove le caratteristiche del fondale sarebbero
particolarmente idonee, che fu bloccato a suo tempo grazie
all'intervento di Antonio Di Pietro, allora ministro delle
Infrastrutture, e di suo figlio Cristiano, consigliere provinciale a
Campobasso. Pochi giorni fa, dopo 10 anni di battaglie, è stato
definitivamente bocciato dal Consiglio di Stato.