La ricerca si sposta nel Far East

Per gli scienziati che sperano di dare una spinta allo sviluppo dell’energia pulita, c’è solo l’imbarazzo della scelta: fra accumuli, smart-grid, biomasse, solare ed eolico, i grandi filoni di ricerca nelle fonti rinnovabili e nell’efficienza energetica attraggono sempre più interesse e fondi in tutto il mondo.

I centri nevralgici di questa corsa verso lo sviluppo sostenibile sono come sempre i grandi cluster attorno a Berkeley e al Mit negli Stati Uniti, a Oxford e a Cambridge nel Regno Unito, ai politecnici di Zurigo e Losanna in Svizzera, ma crescono rapidamente anche le università cinesi e coreane. Nella ricerca sulle batterie per l’auto elettrica, ad esempio, gli scienziati cinesi sono molto più avanti rispetto al resto del mondo. Il New Energy Automobile Engineering Center della Tongji University, a Shanghai, fondato dall’attuale ministro cinese della Scienza Wan Gang, è considerato uno dei centri più avanzati nello studio delle celle a combustibile e delle batterie agli ioni di litio, mentre la cinese Byd è l’azienda leader di questo settore a livello mondiale, con un esercito di ricercatori e ottime prospettive di crescita ulteriore, dato il target di 5 milioni di auto elettriche su strada entro il 2020, a cui punta il governo cinese.

In complesso, è chiaro che il boom dell’innovazione nelle fonti rinnovabili e nell’efficienza energetica si deve all’azione congiunta di programmi di ricerca governativi e privati, ma è anche effetto della crescita del mercato, sostenuto da incentivi, sgravi fiscali e sussidi, che hanno attirato l’attenzione dei ricercatori verso un settore in grande espansione, dove le tecnologie vincenti frutteranno enormi profitti.

Nel decennio 2001-2011, in base alle stime di I-Com, gli investimenti nell’innovazione energetica sono più che raddoppiati, arrivando a rappresentare il 7,4% della spesa totale in ricerca e continuando a crescere anche nel periodo della crisi (erano il 5,6% della spesa totale nel 2008). Il boom di investimenti, dedicati per due terzi alle fonti alternative, è culminato nel 2011, con una spesa globale per la ricerca energetica di 88,4 miliardi di dollari e un salto del 34% rispetto al 2010, soprattutto per merito del settore pubblico, che nel corso del decennio ha triplicato l’impegno finanziario (da 12 a 36 miliardi di dollari), anche se il salto tra il 2010 e il 2011 è da ascrivere soprattutto alle aziende private e alla Cina, che da sola investe ormai quasi la metà del budget globale in ricerca energetica, con 37,4 miliardi di dollari, contro i 4,1 miliardi del lontanissimo 2001.

La recente impennata dei finanziamenti alla ricerca energetica coincide con il boom di brevetti nelle fonti rinnovabili, registrato da uno studio storico di Jessika Trancik del Mit, che dimostra una forte correlazione fra le quotazioni del petrolio, la crescita delle fonti pulite spinte dagli incentivi pubblici e l’attività brevettuale dei ricercatori. La crescita è stata particolarmente drammatica nell’ultimo decennio. Fra il 2004 e il 2009, ad esempio, i brevetti concessi nell’ambito del solare sono cresciuti del 13% all’anno e quelli per l’eolico del 19% in media, ritmi che rivaleggiano o addirittura superano quelli di settori come i semiconduttori e le tecnologie per i cellulari.

Da dove partono i flussi più consistenti di innovazione tecnologica verde? Stati Uniti, Cina, Giappone e Germania sono i magnifici quattro nella ricerca sulle fonti pulite. A livello europeo, in base a uno studio realizzato da Alessandro Castiello D’Antonio sulle pubblicazioni scientifiche relative all’ultimo decennio, la Germania si attesta al primo posto per quantità di pubblicazioni in tutte le tecnologie rinnovabili, tranne che nell’idroelettrico e nelle maree, dov’è la Francia a prevalere. L’Italia si piazza benino nel settore delle tecnologie solari: per il solare termico arriva al quarto posto, a poca distanza da Francia e Spagna, mentre per il fotovoltaico al secondo, dietro alla Germania. Ma quest’attività scientifica relativamente sostenuta in Italia non riesce a tradursi in tecnologie applicate. Andando ad analizzare i brevetti relativi alle fonti rinnovabili depositati all’European Patent Office, si scopre infatti che l’Italia è a livello della Spagna e dell’Olanda, ben più indietro della Francia, che ha il 40% di brevetti in più perfino sulle tecnologie solari.