Quinoa, fatti in là. A spodestare l’antico cibo degli Inca dal trono di re dei superfoods è sbarcato in Occidente il senegalese fonio, ultimo arrivato sulla scena degli antichi grani, che negli anni ha portato alla ribalta semi dimenticati come l’etiope teff, la messicana chia, il kamut o l’amaranto, il grano saraceno o il miglio, un tempo considerato in Occidente solo foraggio per animali.
Il fonio ha un ruolo centrale nella mitologia dei Dogon del Mali, che attribuiscono al dio Amma la creazione dell’intero universo dall’esplosione di un singolo chicco di fonio, “l’uovo del mondo”. Ma oltre all’origine del mondo, quali altri meriti ha questo minuscolo cereale che ha cominciato a invadere i negozi di alimenti naturali e anche qualche ristorante? Come il miglio, suo parente stretto, anche il fonio, spesso definito “il riso dei poveri”, non contiene glutine. La sua coltivazione è molto diffusa nelle savane di tutta l’Africa Occidentale, perché è una pianta resistente alla siccità, adatta ai terrenti aridi, e arriva a maturazione molto velocemente, da sei a otto settimane, per cui si possono avere diversi raccolti all’anno. Malgrado la trebbiatura dei piccoli semi sia complicata e richieda tempo, il fonio è un elemanto fondamentale nella cucina di tutta l’area, dal Senegal al Mali e dalla Guinea fino al Ghana, per le sue importanti doti nutritive. In Niger, Nigeria, Togo e Benin si usa invece il fonio nero, una varietà adatta a climi più umidi.
“In un mondo dove l’acqua sta diventando un elemento sempre più raro, una pianta che cresce senza acqua può avere applicazioni importanti”, spiega Salimata Wade, professore all’università di Dakar, dove dirige un dipartimento impegnato nelle ricerche sull’alimentazione. “In più, il fonio è una pianta molto robusta e non ha bisogno di difese contro parassiti e malattie, per cui si coltiva senza pesticidi”, precisa Wade, proponendolo come un alimento biologico. Ricchi di carboidrati, i semi di fonio sono principalmente cucinati interi, perché hanno una consistenza molto simile al couscous. Contengono buone percentuali di sali minerali – come calcio, magnesio, zinco e manganese – di ferro e di aminoacidi essenziali, come metionina e cistina, che il nostro organismo non è in grado di autoprodurre. Il fonio viene anche macinato in una farina senza glutine per pane o focacce e si usa fermentato al posto dell’orzo, per la produzione di birre locali. In pratica, si tratta di una materia prima completa, come il grano, ma senza glutine e quindi particolarmente digeribile e adatta anche ai celiaci. Da qui l’interesse che si sta risvegliando nei Paesi industrializzati per questo antico cereale, che dal Senegal si diffonde nel resto del mondo, soprattutto grazie all’azione di espatriati.
Uno dei primi a tessere le lodi del fonio è stato Pierre Thiam, uno chef newyorkese di origine senegalese, nel suo libro di ricette Yolele! – un buon augurio nella lingue Wolof – mirato a rendere fruibili le ricette africane anche ai cuochi del mondo industrializzato. Grazie alla sua impresa di catering, il fonio arriva regolarmente sulle tavole dei banchieri di Wall Street, tanto che ora diversi ristoranti a New York lo includono nei propri menu.
La speranza, per gli agricoltori del Senegal, è che il fonio si faccia strada sulle tavole del mondo insutrializzato, così com’è successo al teff etiope, che sta entrando nel grande circuito dei negozi di alimentazione naturale, macinato come farina o nel muesli, cotto nel pane o nei biscotti. Nella speranza di trasformarlo in una gallina dalle uova d’oro, il governo di Addis Abeba ha già deciso il raddoppio della produzione quest’anno, in modo da soddisfare sia il fabbisogno interno che la crescente domanda estera, con la collaborazione della Fondazione Syngenta, il braccio non-profit del colosso agrochimico svizzero.
Stesso discorso per la quinoa, che sta facendo la fortuna dei contadini delle Ande, dov’era considerata un cereale sacro fin dai tempi degli Inca. Da quando è stata scoperta dai consumatori del mondo industrializzato, la domanda globale continua a crescere a ritmi sostenuti e il prezzo è triplicato dal 2006 a oggi, con ricadute non sempre positive per i Paesi d’origine, Bolivia e Perù, dove ormai chi coltiva quinoa preferisce venderla all’estero piuttosto che consumarla in loco, impoverendo così la magra dieta locale. Il rischio esiste anche per il semino magico del Senegal e dintorni, che improvvisamente potrebbe trovarsi al centro di una moda alimentare fra i consumatori occidentali, sempre a caccia di nuove emozioni esotiche. E’ vero che gli antichi cereali in alcuni casi sono molto adatti alle esigenze di chi è intollerante al glutine e la loro riscoperta rende le nostre tavole più ricche, ma attenzione a non fare danni in loco.