Il biocarburante del futuro

Domina la baia di San Francisco con la sua vasta cupola schiacciata, sede del primo, mitico acceleratore di particelle. Fondato nel 1931 dal Nobel Ernest Lawrence, il Lawrence Berkeley National Laboratory domina anche la fisica americana, dai tempi del Manhattan Project, quando le migliori teste del mondo si riunivano qui agli ordini di Robert Oppenheimer. Oggi ci lavorano 4.000 persone, fra cui 13 premi Nobel, 1.700 scienziati e 480 post-doc, al servizio del Dipartimento dell’Energia. Tra loro, Barak Obama ha scelto il suo primo ministro dell’Energia, il Nobel Steven Chu, che ora lavora a Stanford.

Ma non sono soli. Queste colline protette dall’oceano ospitano uno dei cluster più articolati del mondo di istituti scientifici, che s’intrecciano con i centri di ricerca privati di casa poco più a Sud, nella Silicon Valley. Dall’università della California, che confina con il Berkeley Lab, fino a Stanford, dall’altra parte della baia, oggi si progetta il futuro verde con le ricerche più avanzate del Nord America in campo energetico: da qui è partita, ad esempio, la corsa per sviluppare un microrganismo capace di trasformare in biocarburante tutto quello che mangia, che siano scarti agricoli o residui industriali.

Per costruire il batterio giusto, efficiente e di poche pretese, Chu ha aperto a Emeryville, ai piedi del Bay Bridge, il Joint BioEnergy Institute, uno dei tre centri di ricerca creati per aiutare l’America a svezzarsi dal petrolio, e ci ha messo a capo Jay Keasling, che ci lavora già da anni. Keasling è uno dei fondatori della biologia sintetica e ha già messo a segno un primo successo, che gli è valso un mega-finanziamento dalla Fondazione Gates: è riuscito a riprogrammare i geni di un lievito e così ha creato un microrganismo capace di trasformare lo zucchero nel più potente principio attivo antimalarico presente sul mercato, l’artemisinina, riducendo i costi di produzione del farmaco a pochi centesimi per dose.

Nella sua caccia al biocarburante facile, Keasling ha fondato Amyris, una start-up che produce biodiesel a Emeryville e in Brasile, finanziata sia da capitalisti di ventura, come Khosla Ventures, che da colossi del settore come Total. Altre start-up, come Solazyme, lavorano con le alghe. Synthetic Genomics, fondata a La Jolla da Craig Venter, noto per essere riuscito a battere sul tempo, negli anni Novanta, un esercito di scienziati governativi impegnati nella prima mappatura del genoma umano, è stata finanziata con 600 milioni da ExxonMobil per arrivare all’industrializzazione del suo processo di produzione di biodiesel da alghe e batteri modificati.

In teoria qualsiasi batterio, opportunamente riprogrammato, può diventare una raffineria vivente, capace di portare a termine complesse reazioni chimiche, che le fabbriche costruite dall’uomo imitano in maniera molto meno efficiente. Ecco perché i biologi sintetici ottengono finanziamenti: i loro carburanti, quando arriveranno sul mercato, promettono di essere competitivi quanto i carburanti ottenuti dal petrolio e molto più puliti.