La mini-raffineria batterica made in Italy

Tutto parte da un batterio. Un microrganismo capace di trasformare lo zucchero in butandiolo, un intermedio chimico finora ottenuto solo da fonti fossili, che ha una vasta gamma di applicazioni, dai tessuti elasticizzati alle scocche dei cellulari, passando per la componentistica delle auto.

Questa mini-raffineria biologica, capace di compiere la fermentazione in un colpo solo, è stata ingegnerizzata da Genomatica, piccola ma avanzatissima società di San Diego, fondata da Christophe Schilling, un mago della biologia sintetica.

La novità sta proprio nell’efficienza del processo, che era già stato tentato da altri, ma finora aveva bisogno di più passaggi. L’Escherichia coli ingegnerizzato da Schilling, invece, ce la fa con un passaggio unico, portando così il bio-butandiolo a competere con i suoi equivalenti derivati dal petrolio. Il valore complessivo del mercato del butandiolo nel mondo è stimato intorno a 3,5 miliardi di euro e attualmente i principali produttori sono i grandi gruppi chimici mondiali, dalla tedesca Basf alla Dairen di Taiwan alle statunitensi Lyondell, Isp e DuPont, per una capacità produttiva di oltre 1,5 milioni di tonnellate, ancora insufficienti rispetto alla forte pressione della domanda in seguito al boom dell’economia cinese.

Il batterio giusto non basta, però, al successo del prodotto finale. Ci vuole un’attenta ingegnerizzazione per ottimizzare le condizioni di fermentazione e arrivare a un prodotto purissimo, adatto a tutte le applicazioni possibili e quindi competitivo con l’equivalente fossile. Qui s’inserisce Novamont, campione italiano delle bio-plastiche, che ci ha creduto fino in fondo. L’impianto di Adria, che aprirà ufficialmente i battenti il 30 settembre, sarà il primo al mondo a produrre bio-butandiolo su scala industriale. “Genomatica ha venduto la licenza anche a Basf, ma noi siamo stati i primi a impegnarci sul serio per arrivare all’industrializzazione”, spiega Luigi Capuzzi, capo della ricerca di Novamont.

In quattro anni di lavoro è stato messo a punto il processo ed è stato trovato lo stabilimento, che a regime produrrà 30mila tonnellate l’anno di bio-butandiolo e darà lavoro a 150 persone. L’impianto di Adria, che fino al 2006 ha prodotto lisina impiegando oltre 60 persone, era in via di dismissione.

Un altro caso di tagli, tanto comuni nell’industria chimica nazionale ed europea. Al suo posto, cresce invece la chimica verde, perseguita con passione da Novamont e dal suo amministratore delegato Catia Bastioli. Con l’acquisto del ramo d’azienda, tutti i 27 dipendenti rimasti nel vecchio impianto sono passati a Mater-Biotech, la nuova realtà creata per questa nuova iniziativa nelle bio-plastiche, che saranno sempre commercializzate sotto il marchio Mater-Bi, ma alla lunga potranno trovare ulteriori possibilità di sviluppo con nuove partnership industriali.

L’avvio di questa produzione coinvolge anche un’altra iniziativa: la riapertura del centro di ricerca nella Piana di Monte Verna, in provincia di Caserta, dismesso da Sigma Tau, dove Novamont si sta concentrando sui processi biotecnologici industriali che, partendo a monte dalla filiera agricola, consentano a valle ulteriori possibilità di crescita per la chimica verde. “Sono passi importanti per chiudere il cerchio della bioplastiche di ultima generazione, prodotte senza fare concorrenza alle colture alimentari”, spiega Capuzzi. Al momento attuale, infatti, il butandiolo di Adria viene prodotto a partire dallo sciroppo di glucosio comprato sul mercato da Cargill, che ha uno stabilimento poco lontano da Adria. “Ma l’idea sul medio periodo è di far funzionare l’impianto con zuccheri di seconda generazione, prodotti da biomassa cresciuta su terreni marginali, che gli agricoltori non possono più coltivare”, precisa Capuzzi.

Il progetto s’innesta sulla coltura del cardo, già avviata in Sardegna attorno allo stabilimento di Matrica su terreni marginali, troppo aridi per servire all’agricoltura. Matrica punta a produrre gli acidi di base delle bio-plastiche con i semi del cardo e non più con i semi di girasole, per emanciparsi dalle colture alimentari. “I materiali di scarto dei cardi, una volta elaborato il processo di produzione dello zucchero da biomasse, potranno servire alla fermentazione del butandiolo di Adria”, prevede Capuzzi, chiudendo così il cerchio delle bio-plastiche ancora più ecologiche. Da San Diego al Mediterraneo, il passo si fa sempre più breve.