Non più usa e getta, ma usa e ricicla. Dopo la rivoluzione dei prodotti monouso, partita dalle lamette Gillette all’inizio del secolo scorso e oggi estesa a vaste fette del mercato dei beni di consumo, il pendolo torna indietro, verso l’economia circolare. La popolazione mondiale cresce al ritmo di 80 milioni di individui all’anno e potrebbe toccare gli 11 miliardi alla fine di questo secolo, dai 7,4 miliardi di oggi. L’ascesa sociale delle fasce più povere dell’umanità è ancora più rapida: da qui al 2030 ben 3 miliardi di nuovi consumatori entreranno nella classe media e spingeranno la domanda di beni e servizi a livelli senza precedenti. D’altro canto la coperta delle risorse è sempre più corta, la plastica sta invadendo gli oceani e l’inquinamento ci toglie l’aria, perciò il sistema industriale deve ripensare i suoi modelli di produzione e i suoi prodotti finali, trasformando i rifiuti in una risorsa. Mantenere il modello di sfruttamento lineare, nella logica seguita finora di scavare, confezionare, consumare e buttare, significa rendere il pianeta sempre più invivibile e confrontarsi con la crescente scarsità delle materie prime, che già oggi manifestano una forte volatilità dei prezzi, con un incremento medio del 150% nell’ultimo decennio.
«Molte imprese hanno raggiunto questa consapevolezza, ora si tratta di colmare il divario fra idea e azione», commenta Joss Blériot, numero uno della Ellen MacArthur Foundation, la società che ha portato l’economia circolare al centro delle politiche istituzionali europee, puntando soprattutto sui vantaggi economici del cambio di modello, a partire dal famoso rapporto di McKinsey uscito nel 2012 su commissione della fondazione, il primo del suo genere a considerare le opportunità economiche e di business per la transizione verso un modello circolare. Per MacArthur, grande velista inglese famosa per aver battuto il record della più rapida circumnavigazione del globo in solitaria a meno di trent’anni, la passione per la salvaguardia dell’ambiente è sempre stata fondamentale. E l’esperienza di marinaio le ha insegnato il valore del riciclo. Da qui la decisione di dedicarsi completamente alla promozione dell’economia circolare dopo il ritiro dall’attività agonistica. Blériot ha partecipato alla sua avventura fin dall’inizio e ha contribuito alla nascita del pacchetto sull’economia circolare dell’Unione Europea, in quanto esperto chiamato dall’allora Commissario Janez Potočnik a sedersi al tavolo dell’elaborazione del controverso pacchetto.
«La produttività delle risorse nell’Ue è cresciuta del 20% nel periodo 2000-2011», si legge nella comunicazione della Commissione Europea “Verso un’economia circolare”, alla base della normativa europea in via di definizione. «Se questa evoluzione si manterrà costante, entro il 2030 avremo un ulteriore aumento del 30%, corrispondente a un incremento del Pil quasi dell’1% e alla creazione di oltre 2 milioni di posti di lavoro in più rispetto allo status quo». Obiettivi ambiziosi, a cui il sistema produttivo europeo deve prepararsi. Ma come superare le logiche lineari, che prevalgono nell’attuale sistema di produzione industriale? Nelle prime fasi del cerchio le resistenze sono chiare. Sulla scelta delle materie prime, a fare resistenza sono soprattutto le normative, che innalzano barriere contro l’uso delle materie prime seconde. La cultura del consumo incide molto: il recupero delle materie prime seconde è frenato dalla difficoltà di far accettare al consumatore finale prodotti con una performance marginalmente inferiore rispetto alle alternative tradizionali, fabbricate con materie prime vergini. Per fortuna esistono anche forze centripete che aiutano la circolarità, come ad esempio il vantaggio per le imprese di sottrarsi alla volatilità dei prezzi delle materie prime, il taglio dei costi derivante dal risparmio energetico e le nuove opportunità di mercato legate allo sviluppo di prodotti verdi.
«Le sostanze tossiche, oggi usate a piene mani nel manifatturiero, sono il problema principale da risolvere nella riconversione dei processi industriali verso la circolarità», rileva Blériot, che si rifà alla filosofia Cradle to Cradle, il sistema inventato da Michael Braungart e William McDonough per la riconversione dei processi industriali da lineari a circolari. Chi entra nell’ottica della produzione rigenerativa, deve creare dei prodotti senza sostanze tossiche, che si possano facilmente disassemblare per riutilizzare i materiali tecnici di cui sono costituiti, mentre i materiali organici ritornano alla terra. Non è un processo facile, ma per costruire una nuova supply chain, in cui tutti i materiali usati per i nuovi prodotti abbiano già avuto una vita precedente, conviene basarsi sulle risorse presenti sul territorio. Per Blériot, l’economia circolare parte sempre dal territorio. Con il Toolkit for Policymakers, presentato l’anno scorso al World Economic Forum di Davos, la fondazione ha preso ad esempio i casi più virtuosi in Europa di territori circolari, in particolare la Danimarca, e li ha documentati, per mettere questi esempi a disposizione degli altri.
«L’interazione locale fra industria, cittadini e politica è essenziale per andare nella giusta direzione, come dimostrano molti casi di territori virtuosi, ad esempio le Fiandre», precisa Blériot. «Nel dialogo con le imprese, la politica può dedurre quali sono le barriere normative da abbattere per allineare gli sforzi, coinvolgendo nella circolarità tutti i player rilevanti». Resta il fatto che un’indicazione chiara a livello europeo può facilitare notevolmente tutto il processo. «Se da Bruxelles arriva una dichiarazione forte a favore dell’economia circolare, poi i Comuni, come le piccole e medie imprese, si sentono più sicuri a investire in quella direzione». D’altro canto, è importante che la politica europea non sia troppo prescrittiva, nel qual caso rischia di soffocare l’innovazione. «Sull’economia circolare non abbiamo già tutte le risposte, si tratta anche di procedere per prove ed errori. Il governo danese ha fatto abbastanza bene, offrendo deroghe temporanee su alcune normative per incentivare la circolarità dei processi. Questo è un approccio sperimentale, che forse potrebbe essere adottato anche altrove». Come in tutti i processi innovativi, i vantaggi economici evidenti dell’economia circolare non bastano per innescare la transizione: bisogna prima abbattere i rischi d’investimento, per le imprese e per i territori.