Il volto femminile dell’elettrificazione

Oltre 1,3 miliardi di persone, il 18% della popolazione mondiale, non hanno accesso all’elettricità. Il doppio, 2,6 miliardi, non dispongono di mezzi idonei per cucinare, in base all’ultimo rapporto dell’International Energy Agency. Questo significa che le donne devono bruciare legno o scarti agricoli, spesso trasportati da molto lontano, per preparare i pasti. Nove su dieci, queste donne abitano nell’Africa sub-sahariana e nelle zone più povere dell’Asia. Sono le stesse aree dove 4,3 milioni di persone all’anno, soprattutto donne e bambini, muoiono per aver respirato le esalazioni venefiche emesse dalle biomasse usate per cucinare. E la “povertà energetica” cresce, insieme alla popolazione mondiale: si prevede che nel 2030 toccherà i 3 miliardi di persone. A questi 3 miliardi non mancheranno soltanto i mezzi per soddisfare bisogni primari, come cucinare o riscaldarsi in maniera decente, ma anche il tempo e l’illuminazione per studiare, che consente di affrancarsi dalla povertà. Così il cerchio si chiude.

Da qui si capisce quanto sia importante l’elettrificazione per lo sviluppo. Ma c’è di più. In base a una serie di indagini, emerge sempre più chiaramente che la povertà energetica penalizza in modo particolare le donne e lì dove si riesce a porvi rimedio sono soprattutto le donne ad approfittarne. “L’elettrificazione riduce drasticamente le ore dedicate all’approvvigionamento delle fonti energetiche, spesso affidato alle donne, libera tempo a disposizione per una maggiore partecipazione attiva nei contesti sociali, favorisce le opportunità scolastiche per giovani ragazze e permette alle donne di inserirsi nel mondo del lavoro”, spiega Valeria Termini, economista e componente dell’Autorità per l’energia elettrica, il gas e l’acqua, oltre che del network internazionale Women in Energy.

Le prime ricadute importanti sono sull’occupazione femminile. “Uno studio dell’Università del Michigan ha mostrato che a seguito dell’elettrificazione in Sud Africa si è assistito a un aumento in breve tempo del 9% dell’occupazione femminile, mentre quella maschile è rimasta ferma”, precisa Termini, che ha raccontato quest’importante novità al convegno “Donna è…”, organizzato dalla Rai all’Auditorium Parco della Musica di Roma. Lo studio di Taryn Dinkelman, che ora insegna a Princeton, ha fatto da apripista ad altre analisi recenti, come quella delle canadesi Louise Anne Grogan e Asha Sadanand, che mostrano un impatto ancor più significativo in Nicaragua e in Guatemala, dove si è registrato un aumento del 23% della propensione femminile all’occupazione fuori dall’ambito domestico in seguito all’elettrificazione, contro un impatto nullo sull’occupazione maschile. “Conseguenze di rilievo si misurano anche sulla salute delle donne, perché l’uso delle biomasse nelle case aumenta notevolmente il rischio di infortuni, ferite, ustioni e tumori, tubercolosi e forme croniche di asma o di altre malattie respiratorie gravi”, rileva Termini.

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La dipendenza delle biomasse in cucina

I tentativi per risolvere il problema della povertà energetica si scontrano con i pesanti oneri di una copertura elettrica capillare, simile a quella di cui godiamo nel mondo industrializzato. In base alle stime dell’International Energy Agency, il costo complessivo arriverebbe a quasi 500 miliardi di euro. Ma è opinione comune che le aree più povere del mondo salteranno questo passaggio. Per Krishna Kumar, direttore di Philips India, un manager molto impegnato nell’emancipazione del suo Paese dalla povertà energetica, è molto probabile che lo sviluppo energetico dei Paesi emergenti segua il modello già visto nello sviluppo delle telecomunicazioni. “Così come la diffusione dei cellulari ha completamente soppiantato la necessità di una rete fissa, è probabile che le fonti rinnovabili, intese soprattutto come fotovoltaico affiancato da sistemi di accumulo, portino l’elettricità direttamente là dove serve, senza la necessità della rete”.

La quota della popolazione che non ha accesso a servizi di elettricità, per regione
La quota della popolazione che non ha accesso a servizi di elettricità, per regione

Un esempio felice è quello della valigetta solare. The Solar Sisters Project nell’Africa sub-sahariana promuove l’imprenditoria femminile mediante la dotazione di strumenti per operare, manutenere e vendere tecnologia solare, come ad esempio lampade solari all’interno delle proprie comunità. “Tra i benefici reali dell’iniziativa si rileva in primo luogo il raddoppio del reddito familiare, mentre l’acquisto delle lampade solari riduce le spese domestiche, spesso sostituendo le lampade a cherosene”, ricorda Termini. Un altro esempio felice è il progetto Rural Women Light Up Africa, in cui 26 “nonne” africane selezionate da 16 villaggi in Liberia, Sudan, Tanzania and Uganda, hanno imparato l’uso di strumenti sofisticati per l’istallazione, la gestione e la manutenzione di sistemi solari, grazie alla collaborazione fra Un Women e il Barefoot College, un’organizzazione non governativa indiana, sostenuta fra gli altri anche da Enel Green Power. Con un corso nella sede del Barefoot College, le nonne africane hanno imparato anche a realizzare elementi della componentistica, come i circuiti elettrici, i ricaricatori e gli inverter, tramite l’utilizzo di un semplice metodo per identificare le parti elettroniche basato su un codice a colori.

Queste e altre iniziative di base sono il primo passo per emergere dalla povertà energetica. Un primo passo importante soprattutto per l’emancipazione delle donne.

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