Caviale d’acciaio

L’acqua viene dal sottosuolo, il calore dal circuito di raffreddamento dell’acciaieria e nelle vasche i pesci campano anche fino a 15 anni. Il più grande allevamento di storioni del mondo, leader nella produzione di caviale, è un’azienda bresciana, Agroittica Lombarda, che punta tutto sulla sostenibilità, oltre che sulla qualità. A Calvisano, meno di 30 chilometri da Brescia, cinquecentomila storioni vivono in enormi vasche di acqua di risorgiva purissima, riscaldata dal surplus termico dell’acciaieria Feralpi, situata a monte dei 60 ettari destinati all’itticultura.

Qui si producono ogni anno 24 tonnellate di uova nere, di cui oltre 20 vanno all’estero, il doppio dell’export combinato dei due Paesi leader nella produzione mondiale di caviale, Russia e Iran, che non superano le 10 tonnellate l’anno. Un primato che fa bene all’ambiente, visto che gli storioni sono una specie protetta, minacciata ormai dall’estinzione a livello globale e già sparita, fin dagli anni Settanta, dalle acque del Po, dov’era di casa.

Allevando questi pesci, Agroittica dà una mano a tutelare gli stock e di conseguenza si è guadagnata la certificazione di Friend of the Sea, l’associazione che promuove la pesca sostenibile. Dei bestioni, che possono superare i tre metri di lunghezza e i 500 chili di peso, non si butta via niente: la carne si mangia, le uova più pregiate si usano per il caviale e quelle di seconda scelta vanno in cosmetica, mentre la pelle si trasforma in cinture.

«Gli storioni sono animali preistorici, esistono da 250 milioni di anni, ma sono molto sensibili all’inquinamento e là dove supera una certa soglia si estinguono», spiega il direttore commerciale Stefano Bottoli. In più, c’è la pesca selvaggia. Basti pensare che nel 1978 vivevano nel l’Oceano Pacifico 140 milioni di esemplari, ma nel 2001 erano ridotti a meno di 300. «Questo ha favorito definitivamente l’era del caviale farmed», precisa Bottoli.

Agroittica, che era partita allevando anguille negli anni Settanta, è passata agli storioni negli anni Ottanta, inizialmente per la carne e dal ’98, quando gli Usa ne vietarono l’export, anche per il caviale. Nel frattempo, l’acciaieria era stata acquisita dalla famiglia Pasini, i proprietari della Feralpi, che ha inglobato anche l’allevamento, oggi presieduto da Giovanni Pasini. «Il ciclo del caviale è molto più lungo e complesso: solo quando raggiungono i 5-6 anni si capisce di che sesso siano gli storioni e a quel punto i maschi si macellano per venderne la carne, mentre le femmine ci mettono almeno altri 6 anni prima di cominciare a produrre le uova», illustra Bottoli.

Uno scambiatore di calore sfrutta le alte temperature dell’acciaieria per mantenere sopra i 20 gradi la nursery, dove i piccoli crescono fino al primo anno di vita, e intorno ai 16-18 gradi le altre vasche disseminate per 60 ettari. Il momento dell’estrazione delle uova, anche 20 chili per esemplare, viene stabilito attraverso un costante controllo ecografico delle femmine, tutte dotate di un microchip. «In questo modo, ci assicuriamo di non macellare i pesci prima della giusta maturazione, il che ovviamente per lo storione selvaggio non è possibile», fa notare Bottoli.

Il successo di Agroittica, che in pochi anni è diventata leader mondiale in un settore dove l’Italia ha ben poca esperienza, viene attribuito all’alta qualità della vita di questi pesci: «Le acque che estraiamo dal sottosuolo sono purissime e rappresentano l’habitat ideale per gli storioni, che non sono stressati da un allevamento intensivo, come quelli dei nostri concorrenti». Ma il caviale bresciano, prodotto in quattro qualità diverse, dal classico Calvisius al Caviar de Venise, passando per l’Oscietra Classic e Royal, non va molto in Italia: Agroittica è fornitore esclusivo di Lufthansa e Singapore Airlines ed esporta oltre il 90% della produzione, soprattutto in Germania, Francia e Stati Uniti.