C’è vita anche senza l’automobile

Si può vivere senza la macchina. E sono sempre più numerosi gli italiani che se ne liberano. In Europa gli italiani sono secondi soltanto ai tedeschi per l’utilizzo del car sharing, con Milano in testa, seguita da Roma e Torino, in base a una recente analisi di Frost & Sullivan. L’alta densità abitativa è uno dei motivi principali della rapida crescita del car sharing: ci sono 43 città italiane con più di 100mila abitanti e dieci con più di 300.000, dove ormai è diventato normale non avere la macchina.

Ma si tratta anche di una svolta generazionale. In ogni caso, è il primo segno di un’importante trasformazione in corso nella società italiana verso un modello di sviluppo più aderente all’economia della funzionalità, rispetto all’approccio tradizionalmente consumista seguito fino alla grande caduta degli anni della crisi. Il mito del possesso tipico dei Baby Boomers sta lasciando spazio anche da noi alla leggerezza dei Millennials, che preferiscono non comprare, ma noleggiare e affittare, trasformando se possibile i prodotti in servizi, con un notevole salto nella scala dell’efficienza del sistema.

Da qui nasce il boom dell’economia della condivisione, non solo nei trasporti ma anche nelle abitazioni e perfino negli abiti firmati, negli alimentari o negli attrezzi per il fai-da-te. Se pensiamo che i Millennials saranno 2,3 miliardi di persone nel 2020, la metà della forza lavoro globale, possiamo immaginare la crescita del fenomeno in prospettiva.

Le catene del valore, in parte, si sono già trasformate. “Quelle per lo scambio di beni sono probabilmente le piattaforme con cui gli italiani hanno più familiarità, infatti è in questo settore che si registrano alcuni fra i primi servizi collaborativi nati in Italia”, rileva Marta Mainieri, fondatrice di Collaboriamo.org e autrice della mappa annuale dell’economia collaborativa in Italia, che verrà illustrata a SharItaly il 5-6 dicembre a Milano.

Nella sua ultima mappatura, riferita al 2016, Collaboriamo.org ha censito ben 138 piattaforme collaborative sul mercato italiano (di cui 27 straniere con uffici in Italia), in crescita del 17% rispetto all’anno precedente. Oltre ai trasporti, l’ambito in cui si concentra il maggior numero di piattaforme italiane (18) è proprio il settore dello scambio, affitto e vendita di oggetti. I servizi che permettono di vendere oggetti usati, come Bakeka, Secondamano e Subito, sono quelli più noti al grande pubblico, ma ce ne sono altri, come LocLoc o Useit, che permettono di affittare ogni genere di bene, mentre Sharewood è specializzata nella condivisione di attrezzature sportive. Nell’abbigliamento sono attive MySecretDressingRoom, che offre vestiti di marca a noleggio, Babybrum, specializzata nel noleggio di abbigliamento e oggetti per bambini, e Armadio verde, che permette lo scambio di abbigliamento usato per bambini.

Il settore più in crescita, però, è quello dei servizi alle imprese, dove le piattaforme sono raddoppiate in un anno, da 6 a 12, “a dimostrazione del fatto che anche le aziende, ormai, conoscono l’economia collaborativa”, precisa Mainieri. In questo ambito sono molto attive sia la Fondazione Brodolini, impegnata in diversi progetti per la ridefinizione delle relazioni fra aziende a partire dalla circolarità, che il Politecnico di Torino con il progetto europeo Retrace, mirato a una progettazione intelligente, sostenibile e inclusiva. Tra le piattaforme più seguite, si va da quelle che permettono la condivisione degli strumenti da lavoro (Toolsharing) a quelle che offrono spazi in condivisione (Sharepro e Co-hive). Shopsharing e Theshopshare, invece, consentono ai commercianti di condividere i propri negozi con produttori, artigiani, designer e aziende.

Le logiche collaborative, nel frattempo, trovano seguaci anche tra le aziende tradizionali: Leroy Merlin, ad esempio, ha attivato in Italia una rete di aiuto mettendo a disposizione una “borsa cantiere”, che comprende sia i materiali necessari ai lavori sia l’expertise dei propri collaboratori. Finita la ristrutturazione, però, i beneficiari dovranno a loro volta attivarsi in un’iniziativa analoga presso altre abitazioni o strutture di accoglienza, creando così una sorta di circolo virtuoso di sostegno. L’economia della condivisione, del resto, è solo all’inizio. Uno studio dell’Università di Pavia, curato da Luciano Canova e Stefania Migiavacca, ha calcolato in 3,5 miliardi di euro il suo volume d’affari in Italia, ma nel 2025 potrebbe valerne 14 e nella migliore delle ipotesi superare i 25 miliardi. Una prospettiva che definisce la circolarità come volano fondamentale per la crescita futura dell’economia italiana.