La corsa al fotovoltaico trasparente, che punta a trasformare le grandi vetrate dei grattacieli in centrali elettriche, è aperta da anni. Il trasferimento delle celle solari dai tetti alle vetrate è già una soluzione praticata, ma riempire le finestre di quadratini scuri non è il massimo dal punto di vista estetico e visivo. In più, le celle a film sottile al tellururo di cadmio contengono composti tossici e quindi hanno grossi problemi di smaltimento, mentre quelle al silicio amorfo tendono a colorare la luce che filtra. Gli architetti stanno aspettando invece una soluzione davvero trasparente, per applicarla a tappeto. E sarebbe un passo avanti rivoluzionario per la sostenibilità degli edifici, che rappresentano circa il 40% della domanda energetica globale. Per ora la killer application, capace di mettere d’accordo le esigenze estetiche degli architetti con il problema dei costi e con i valori della sostenibilità, non è ancora nata. Ma la soluzione brevettata da uno spinoff della Bicocca di Milano ci si avvicina parecchio.
Le sperimentazioni in corso, a partire da quella di Richard Lunt della Michigan State University fino a quella di Elena Ferrazza all’Eni, girano principalmente attorno ai concentratori solari luminescenti (Lsc), ovvero lastre che contengono nanoparticelle di semiconduttori in grado di assorbire tutto lo spettro della radiazione ricevuta dal sole e di riemetterne poi una parte, sotto forma di raggi infrarossi, all’interno della lastra medesima. La radiazione emessa è condotta fino ai sottili bordi della lastra, dove viene concentrata su piccole celle solari che la trasformano in energia elettrica. Il problema è fare in modo che le nanoparticelle non riassorbano le stesse lunghezze d’onda che emettono, altrimenti si perde gran parte della luce prima che arrivi ai bordi. L’obiettivo è riuscire a estrarre la maggior quantità di energia possibile con questo sistema, che è ovviamente meno efficiente delle celle solari tradizionali.
I fisici della Bicocca Francesco Meinardi e Sergio Brovelli, fondatori della startup Glass to Power, sono riusciti a superare tutte le difficoltà e a costruire un prototipo di finestra fotovoltaica trasparente, inserendo tra i doppi vetri una lamina di plexiglas con nanoparticelle di silicio. “Dato che la luce infrarossa è generata all’interno del plexiglas, per la differenza dell’indice di rifrazione fra plastica e aria viene riflessa fra le pareti della lastra, fino a raggiungerne i bordi, proprio come avviene all’interno di una fibra ottica. E ai bordi la attendono le celle fotovoltaiche al silicio che la convertono in elettricità”, spiega Brovelli. “Ovviamente più nanoparticelle si inseriscono nel plexiglas e più questo diventa oscurante, senza però acquisire tonalità colorate, consentendo di bilanciare luminosità e produzione elettrica, per esempio per usi in climi diversi”, aggiunge.
Il risultato è una vetrata indistinguibile da una finestra comune, in grado di convertire in elettricità intorno al 5% della luce solare incidente, con un costo poco più alto di un prodotto convenzionale a triplo vetro, non più del 15% secondo le stime iniziali. “Sostituendo con i nostri vetri tutte le finestre dalla facciata Sud della Shard, il grattacielo londinese di Renzo Piano, potremmo produrre 0,62 gigawattora di energia elettrica all’anno e quindi alimntaare ben 150 appartamenti, a un costo comparabile con quello di normali celle fotovoltaiche”, spiega Brovelli, che ha lavorato fino al 2012 all’applicazione dei punti quantici al fotovoltaico nel Center for Advanced Solar Photophysics del Los Alamos National Laboratory. L’invenzione di Glass To Power è già stata premiata l’anno scorso negli Stati Uniti agli R&D 100 Awards, considerato l’Oscar dell’innovazione, dove la ricerca italiana non aveva mai ottenuto un riconoscimento nei 54 anni di storia del premio, e pochi giorni fa è risultata tra i vincitori del Premio Gaetano Marzotto.