Guardare la Terra dall’alto. Fisicamente e mentalmente. Solo così riusciremo a capire come salvare la nostra civiltà, sostiene Adam Frank, astrofisico dell’Università di Rochester. L’attuale prognosi non è delle più stimolanti: l’evidenza scientifica suggerisce che l’umanità si stia avvicinando alla sua fine, poiché si prevede che l’aumento delle temperature renderà il nostro pianeta incompatibile con la vita umana approssimativamente nel 2200-2400. Colpa nostra, è chiaro: «Il clima della Terra sta cambiando a causa dell’attività umana.
Su questo punto il consenso scientifico è consolidato da un bel po’ di tempo, malgrado l’eterno e deprimente finto “dibattito sul clima” che infuria in politica», rileva Frank, che sta lavorando da anni a un libro sul destino della Terra, “Light of the Stars: Alien Worlds and the Fate of the Earth”, in uscita in giugno per Norton. Ma non basta. In una ricerca per l’americana National Academy of Sciences, firmata con Jacob Haqq-Misra e altri astrofisici, si rileva che «anche se le emissioni di gas serra verranno mitigate, la crescita dell’uso di energia continuerà termodinamicamente ad aumentare la temperatura della Terra. Se continueranno le attuali tendenze di consumo, un riscaldamento catastrofico, che va oltre la soglia di tolleranza allo stress da calore degli animali, potrà verificarsi tra il 2200 e il 2400, indipendentemente dal rallentamento della crescita demografica, previsto entro il 2100».
Insomma, secondo Frank e gli altri non c’è scampo. Ma vale lo stesso la pena farsi un’idea su come la nostra storia potrebbe andare a finire. Nel suo libro, Frank spezzerà una lancia a favore dell’astrobiologia, la disciplina incentrata sulla comprensione della vita nel suo contesto planetario. Non solo della nostra vita, ma della vita in generale. Di tutte le vite possibili. L’astrobiologia, dice Frank, ha portato a una radicale trasformazione della nostra comprensione della vita e delle sue infinite possibilità nell’universo. Ci ha indicato che solo nella nostra galassia potrebbero esserci 40 miliardi di pianeti abitabili come la Terra. E grazie all’astrobiologia cominciamo a capire quello che potrebbe essere successo su pianeti come Venere o Marte, per renderli inabitabili come sono oggi. Entrambi ci illustrano due estremi climatici: Venere è un caso di riscaldamento del clima sfuggito di mano e Marte è un deserto congelato. Venere ci ha insegnato molto sull’effetto serra, mentre su Marte è successo il contrario, ma abbiamo ampie prove che il pianeta rosso un tempo era un mondo caldo, umido e potenzialmente abitabile. I due pianeti, dunque, rappresentano un laboratorio per studiare come le condizioni climatiche possono cambiare.
L’astrobiologia è di fatto uno studio dei pianeti e della loro abitabilità. Quella che oggi chiamiamo sostenibilità è in realtà solo una preoccupazione per l’abitabilità di un pianeta (Terra) per un certo tipo di specie (Homo Sapiens) con un certo tipo di organizzazione (la civiltà moderna). Ciò significa che le nostre domande urgenti sulla sostenibilità sono un sottogruppo delle domande sull’abitabilità. «I pianeti nel nostro sistema solare, come Marte, ci mostrano che l’abitabilità non è per sempre, ma può essere un obiettivo mobile nel tempo. La stessa idea è vera per la sostenibilità e avremo bisogno di un piano per gestire tutto ciò», commenta Frank, che propone l’avvio di uno studio approfondito dell’astrofisica dell’Antropocene per capire meglio questo punto.
«Sfruttando ciò che è già noto sui pianeti e sulla vita, possiamo modellare delle traiettorie di possibile co-evoluzione per le specie tecnologiche come la nostra e i loro pianeti – spiega Frank – Una risposta possibile è che nessuno riesce a farcela: il riscaldamento del clima è il nostro destino e nulla di tutto ciò che facciamo oggi conta perché la civiltà porta inevitabilmente a cambiamenti planetari catastrofici. Ma i nostri modelli potrebbero anche dimostrare che questo non è vero». È un approccio analogo a quello dei medici che analizzano le reazioni di animali diversi per scoprire una cura alle malattie umane. «A seconda delle condizioni iniziali e delle scelte fatte dalla specie (come la modalità di produzione dell’energia), alcune traiettorie portano a una crisi di sostenibilità irrecuperabile e al collasso completo della popolazione. Altre, invece, possono condurre a civiltà sostenibili e longeve».
Questo tipo di ricerche, ammettiamolo, arriva un po’ tardi per noi. Gli scienziati ormai sanno che il nostro impatto sulla Terra è diventato così significativo da spingere il pianeta fuori dall’epoca geologica climaticamente stabile in cui ci siamo sviluppati, l’Olocene, per farlo entrare nell’Antropocene, epoca nuova dominata dalla nostra stessa attività e molto meno ospitale dal punto di vista climatico. «Studiando la sostenibilità come un problema astrobiologico, però, possiamo capire se la sfida che affronteremo sarà insormontabile o no», propone Frank. Certo è che nel 2200 non rimpiangeremo il “dibattito sul clima”, ma potremmo rimpiangere di non aver studiato a fondo l’astrobiologia dell’Antropocene.