Se volete un pieno davvero economico, fate una capatina in Austria: lì un litro di benzina costa in media 86 cent, in Italia 1,08 euro. Ma anche in Francia, Belgio, Lussemburgo, Irlanda, Spagna, Portogallo, Grecia si viaggia sotto un euro al litro e in tutti gli altri Paesi dell'Unione (tranne Olanda e Danimarca) il prezzo medio è comunque inferiore al nostro. Si tratta di mercati dove la fiscalità è molto alta (circa due terzi del prezzo alla pompa, come in Italia) e quindi la benzina non può costare 40 cent come negli Stati Uniti, dove allo Stato va meno di un terzo. Eppure la vivace concorrenza che regna su questi mercati spinge il prezzo al ribasso. Cosa che in Italia non succede. E le prospettive non sono rosee: da gennaio a marzo qui il prezzo industriale della benzina è aumentato del 9,1% (contro un +6,4% negli altri Paesi europei), mentre ulteriori rincari sono previsti a giorni, con effetti a cascata su altri prodotti tradizionalmente collegati, come quelli ortofrutticoli. E' per questo che un dossier sulla mancanza di concorrenza nel mercato italiano dei carburanti, firmato da Auchan, Carrefour, Finiper e Coop, giace da qualche giorno sul tavolo di Mario Monti.
"Naturalmente il governo potrebbe incidere sulla fiscalità e proprio a questo scopo stiamo costituendo un comitato congiunto con i consumatori, per individuare quali potrebbero essere le misure condivise", spiega il sottosegretario alle Attività produttive Giovanni Dell'Elce. "Ma il problema vero – fa notare Dell'Elce – sta soprattutto nei vincoli che in Italia continuano a limitare lo sviluppo di una rete di distribuzione moderna. I regolamenti locali, che creano diversificazioni ingiustificate da regione a regione, andrebbero uniformati e snelliti". "Del prezzo alla pompa, il 68% va in tasse e il 20% circa in materia prima, a seconda delle quotazioni internazionali. L’unica parte contendibile del prezzo della benzina in Italia è quel 12% che resta e va a remunerare l’investimento, a pagare i gestori, gli impianti e a coprire il trasporto, di regola via mare visto che quasi tutte le raffinerie stanno sulle isole”, spiega Piero De Simone dell’Unione petrolifera, che rappresenta i proprietari del 70% delle pompe di benzina italiane. “E’ vero – conferma De Simone – che quel 12% si potrebbe comprimere parecchio se il sistema fosse più efficiente, cioè se i benzinai fossero di meno e quindi vendessero di più, se non vivessero di solo carburante ma anche di altri prodotti, come succede all’estero, e se ci fossero più distributori fai-da-te. Ma una rete così estesa non si smantella dall’oggi all’indomani”. Soprattutto se ci sono forti interessi che resistono alla deregulation.
“La riforma del ’98 prevedeva un taglio di 7mila impianti in tre anni – commenta Giovanni Cobolli Gigli, presidente di Faid, che rappresenta la grande distribuzione – ma a sei anni di distanza l’operazione non è ancora conclusa. Oggi in Italia ci sono oltre 22mila distributori contro i 15mila in Francia e in Germania, gli 11mila nel Regno Unito e gli 8500 in Spagna. La vendita diretta della benzina a prezzi scontati nei centri commerciali è quasi a zero: in Italia sono solo quattro i distributori a insegna nostra, mentre in Francia il 55% delle vendite passa per questo tipo di canali. Eppure il mancato ammodernamento della rete dei carburanti costa al Paese uno 0,1% del Pil, perché una maggiore concorrenza consentirebbe di ridurre significativamente il prezzo della benzina. In pratica è lo stesso problema che mantiene sproporzionatamente alti anche i prezzi negli alimentari e nel tessile”. “Nel nostro centro commerciale di Nichelino – chiarisce Cesare Magni di Carrefour, che ha tre dei quattro benzinai a insegna della grande distribuzione esistenti in Italia – per tutto febbraio abbiamo venduto la benzina a 8 centesimi di meno rispetto al prezzo consigliato dalle compagnie petrolifere, nell’ultimo anno lo sconto è stato in media di 6 centesimi. E questo ha avuto un effetto domino sui benzinai circostanti, per cui i consumatori di tutto il Torinese ne hanno beneficiato. Ma se riuscissimo ad aprire altri distributori nei nostri quaranta ipermercati potremmo arrivare a sconti ancora più alti”. Lo sconto discende dai volumi (un benzinaio Carrefour smercia dieci milioni di litri all’anno, contro una media italiana di un milione e mezzo di litri), ma anche dal fatto che la grande distribuzione compra la benzina direttamente dalle raffinerie, accorciando così la filiera e guadagnando margini di manovra che gli altri benzinai non hanno.
“Ci auguriamo di poter installare una stazione di servizio a bandiera Auchan in quanti più possibili dei nostri 38 centri commerciali”, sottolinea Benoit Lheureux, a.d. di Auchan-Rinascente, che finora è riuscito ad aprirne soltanto una nel centro commerciale di Bussolengo, alle porte di Verona. Auchan ha chiesto le relative autorizzazioni in tutte le regioni dov’è presente, ma gli ostacoli burocratici sono infiniti. “Il blocco – spiega Magni – deriva soprattutto da due ordini di norme, quelle che definiscono una certa area a numero chiuso, dove non si può aprire un distributore se prima non se ne elimina un altro (in Lombardia addirittura altri due), e quelle che creano un’area di esclusiva fra le varie stazioni di servizio. Ma siccome in Italia di benzinai ce ne sono tantissimi, dovunque se ne voglia aprire uno nuovo ce n’è sempre già un altro”. Anche Giuseppe Fabretti, vice presidente Coop, ha tentato invano di fare breccia nei regolamenti regionali per installare qualche benzinaio nei 67 centri commericali della catena. “A questo punto – ragiona Fabretti – non ci resta che ricorrere a Bruxelles, perché la deregulation è ferma”.
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